lunedì 27 agosto 2012

"La Stravaganza" di Antonio Vivaldi



"La Stravaganza" è il titolo di un'opera di Antonio Vivaldi, esattamente la n. 4, che comprende 12 concerti per violino, archi e basso continuo. Cronologicamente "La Stravaganza" si pone tra due opere fondamentali e famosissime del musicista veneziano: "L'Estro Armonico" (op. 3, 1711) e "Il Cimento dell'Armonia e dell'Invenzione" (op. 8, 1725) e rappresentano un passo ulteriore in avanti verso quella perfezione del concerto barocco per violino che per Vivaldi sarebbe stata raggiunta proprio coi concerti delle "Quattro Stagioni" (presenti nell'ultima opera citata). Il titolo dell'op. 4 vuole significare l'intenzione, da parte del musicista, di non seguire uno schema prefissato, ma di potersi sbizzarrire a suo piacimento in percorsi alternativi e improvvisati, magari anche strani, ma che comunque privilegiano la libertà e l'estro del compositore su tutto il resto. I 12 concerti de "La Stravaganza" sono strutturati quasi tutti per uno strumento principe, in questo caso il violino.
 
 
 
 
ANTONIO VIVALDI (1678-1741)

La Stravaganza (op. 4)
 
 
 
Concerto N° 1 in B flat major, RV 383a

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro
 

Concerto N° 2 in E minor, RV 279

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro
 

Concerto N° 3 in G major, RV 301

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro Assai
 

Concerto N° 4 in A minor, RV 357

1. Allegro
2. Grave
3. Allegro
 

Concerto N° 5 in A major, RV 347

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro
 

Concerto N° 6 in G minor, RV 316a

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro
 

Concerto N° 7 in C majior, RV 185

1. Largo
2. Allegro
3. Largo
4. Allegro
 

Concerto N° 8 in D minor, RV 249

1. Allegro - Adagio - Presto - Adagio
2. Allegro
 

Concerto N° 9 in F major, RV 284

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro
 

Concerto N° 10 in C minor, RV 196

1. Spirituoso
2. Adagio
3. Allegro
 

Concerto N° 11 in D major, RV 204

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro assai
 

Concerto N° 12 in G major, RV 298

1. Spirituoso e non presto
2. Largo
3. Allegro


domenica 26 agosto 2012

Suona chitarra

Quando Giorgio Gaber cantava la sua bellissima "Suona chitarra" era il 1967, e già aveva in mente, probabilmente, di dare una netta svolta al suo modo di presentarsi al pubblico. Il testo della canzone citata, a tal proposito è più chiarificatorio che mai: Gaber ci mise dentro tutta la sua rabbia per non poter cantare le cose a cui teneva di più, per non esternare i suoi pensieri su argomenti importantissimi ma che, allora, non potevano e non dovevano essere trattati in una canzonetta, pena la censura che troppo spesso colpì proprio le canzoni di Gaber, in molti casi "vietate" e quindi mai trasmesse sia in radio che in TV. Canzoni sulle quali, a chiunque le ascolti oggi per la prima volta, verrebbe da chiedersi il motivo di tali divieti. D'altra parte Gaber all'epoca non era certo l'unico ad avere questo tipo di trattamento: altri cantautori famosi come Fabrizio De André e Luigi Tenco infatti subirono tagli netti e inappellabili alle loro canzoni da parte della censura che imperversava nella Rai già dalla sua nascita. Tornando al testo di Gaber, si tratta sostanzialmente di uno sfogo atto a porre in risalto il desiderio del cantautore milanese di non esibirsi davanti a un pubblico col solo intento di divertirlo, ma di farlo in modo nuovo e utile, magari parlando di problemi attuali, denunciando le cose sbagliate della società, criticando i politici o qualsivoglia categoria che non si comporta bene. Insomma Gaber non voleva più fare sempre e comunque il "giullare di corte" moderno, che ha solo il compito di intrattenere per un po' di tempo la folla, intendeva creare un rapporto differente e costruttivo con gli ascoltatori, affinché, grazie alle sue canzoni, la gente cominciasse a riflettere sulla realtà delle cose, e magari potesse nascere una discussione e quindi delle iniziative per poter migliorare quello che non va. Certo è che il finale di "Suona chitarra" non incoraggia, visto che Gaber pare si rassegni a dover "fare il pagliaccio", e con rabbia disperata debba continuare in eterno a suonare quella chitarra divenuta ormai strumento inutile che riproduce un suono sempre più sgradevole e incalzante, rancoroso verso quella massa enorme di pubblico che ama soltanto il frastuono e il vuoto. La canzone "Suona chitarra" apparve per la prima volta in un disco a 45 giri del 1967, e poi, l'anno seguente, come 3° traccia del lato B di "L'asse d'equilibrio", album tra i migliori di Giorgio Gaber che comprende altre canzoni indimenticabili come "Un uomo che dal monte" e "Eppure sembra un uomo". 



SUONA CHITARRA
(Federico Monti Arduini - Giorgio Gaber - Renato Angiolini)

Se potessi cantare davvero
canterei veramente per tutti,
canterei le gioie ed i lutti
e il mio canto sarebbe sincero.
Ma se canto così io non piaccio,
devo fare per forza il pagliaccio!
E allora...
Suona chitarra, falli divertire,
suona chitarra, non farli mai pensare
al buio, alla paura,
al dubbio, alla censura,
agli scandali, alla fame,
all’uomo come un cane
schiacciato e calpestato.
E allora...
Suona chitarra, falli divertire,
suona chitarra, non farli mai pensare,
suona chitarra mia...
E tutti in allegria.
Se potessi cantare io sento
che sarei veramente contento
ed il canto sarebbe qualcosa,
la chitarra sarebbe una sposa.
Ma io debbo soltanto piacere,
divertire la gente e scherzare!
E allora...
Suona chitarra, suona i tuoi accordi,
suona più forte, che si diventi sordi;
tutto è già passato,
è gia dimenticato
e solo chi oggi è buono
domani avrà il perdono:
il foglio del condono!
E allora...
Suona chitarra, falli divertire,
suona chitarra, non farli mai pensare
suona chitarra ancora...
E tutti alla malora!
E allora...
Suona chitarra, falli divertire,
suona chitarra, non farli mai pensare,
suona chitarra, forte i tuoi accordi,
suona più forte, che si diventi sordi,
suona chitarra, suona chitarra, suona chitarra...

venerdì 24 agosto 2012

La musica di Johannes Brahms



La musica di Johannes Brahms (Amburgo 1833 – Vienna 1897) possiede un fascino molto particolare, che tende senza dubbio a una sorta di nostalgia per la musica dei secoli precedenti all'Ottocento. Quella del musicista di Amburgo è infatti un'opera largamente rivolta al passato (soprattutto a Bach), ma comunque di espressione romantica. Di certo meno famosa della musica orchestrale, la musica da camera e il lied vi occupano un posto di prim'ordine.
Penso non vi siano dubbi sul fatto che il brano più bello della musica di Brahms sia da ritenersi il terzo movimento (Poco Allegretto) della Sinfonia n. 3, la cui melodia, di una grazia incomparabile, suscita un profondo e piacevolissimo sentimento malinconico. Ecco infine alcune tra le opere musicali più famose di Johannes Brahms.



Musica per pianoforte

Danze ungheresi (1852-1869)
Valzer op. 39 (1865)
Fantasia op. 116 (1892)
Tre intermezzi op. 117 (1892)
Pezzi per pianoforte op. 118 e 119 (1893)



Musica per orchestra

Concerto per pianoforte in re minore op. 15 (1858)
Variazioni su un tema di Haydn op. 56 (1873)
Sinfonia in re maggiore op. 73 (1877)
Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 77 (1878)
Overture accademica in do minore op. 80 (1880)
Overture tragica in re minore, op 81 (1880)
Concerto per pianoforte in si bemolle maggiore op. 83 (1881)
Sinfonia in fa maggiore op. 90 (1890)


Musica da camera

Sonata per violoncello e pianoforte op. 38 (1865)
Sonata per violino e pianoforte op. 78 (1789)
Sonata per violoncello e pianoforte op. 99 (1886)
Sonata per violino e pianoforte op. 100 (1886)
Sonata per violino e pianoforte op. 108 (1888) 
2 sonate per clarinetto e pianoforte op. 120 (1894)



Musica vocale

Requiem tedesco, per due voci soliste, coro e orchestra (1868)
Rapsodia, per contralto, coro maschile e orchestra (1869).


martedì 21 agosto 2012

Tomaso Albinoni: "12 concerti per violino, archi e cembalo" (op. 10)

Nel 1735, anno di uscita dei "12 Concerti" che formano l'Opera 10 di Tomaso Albinoni, erano ormai passati quindici anni dall'ultima pubblicazione di Concerti da parte del musicista veneziano (L'Opera 9 risale infatti al 1922). Eppure, proprio a quel tempo, l'editore Michel-Charles Le Cène di Amsterdam aveva fatto circolare per un po' di tempo la notizia di una nuova imminente pubblicazione: i 12 concerti dell'Opera 10 di Albinoni.
Questi concerti segnano così il confine di un quarantennio di attività straordinaria da parte di Albinoni, che racchiude anche il meglio della musica venziana e del concerto barocco. Aveva iniziato a pubblicare la sua musica alla fine del XVII secolo definendosi un "Musico di violino, dilettante veneto", dimostrandosi in tal modo assai modesto. All'inizio del Settecento, entrò di diritto a far parte dell'élite di quella Musica del Barocco veneziano che comprendeva nomi illustri o meno come Antonio Vivaldi, Antonio Lotti, Giovanni Legrenzi, Carlo Francesco Pollarolo, Francesco Gasparini, i fratelli Alessandro e Benedetto Marcello e tanti altri. Fu proprio Albinoni, insieme a Vivaldi, a portare in auge dapprima il concerto grosso e poi il concerto in stile italiano (che prevede i tre movimenti Allegro - Adagio - Allegro), nonchè il concerto ad un solo strumento; di quest'ultimo anzi, si può ben dire che ne fu l'inventore, come dimostra l'Opera 2, dove, nei 6 concerti a 5, un violino ricopre il ruolo principe. Gli ultimi concerti ascoltabili nell'Op. 10, mostrano che Albinoni rimase fedele alla sua linea musicale, pur apportando alcune varianti al suo modo di comporre: elementi di una evoluzione sovente vicina alle nuove generazioni, fautrici di una musica ormai a metà tra barocco e classicismo si nota in questi concerti godibilissimi, che sanciscono la fine di una carriera strepitosa.
 
 
 
Tomaso Albinoni (1671-1751)
DODICI CONCERTI OP. 10 PER VIOLINO, ARCHI E CEMBALO
 

CONCERTO No. 1
B flat major

1. Allegro
2. Adagio
3. Allegro
 

 
CONCERTO No. 2
G minor

1. Allegro
2. Andante
3. Allegro
 
 

CONCERTO No. 3
C major

1. Allegro
2. Adagio
3. Allegro
 

 
CONCERTO No. 4
G major

1. Allegro
2. Andante
3. Allegro
 

 
CONCERTO No. 5
A major


1. Allegro
2. Andante
3. Allegro
 
 

CONCERTO No. 6
D major

1. Allegro
2. Larghetto
3. Allegro
 
 

CONCERTO No. 7
F major

1. Allegro
2. Andante
3. Allegro
 

 
CONCERTO No. 8
G minor

1. Allegro
2. Largo
3. Allegro
 

 
CONCERTO No. 9
C major

1. Allegro
2. Larghetto
3. Allegro
 

 
CONCERTO No. 10
F major

1. Allegro
2. Larghetto
3. Allegro
 

 
CONCERTO No. 11
C major

1. Allegro
2. Larghetto
3. Allegro
 
 

CONCERTO No. 12
B flat major

1. Allegro
2. Adagio
3. Allegro.


lunedì 20 agosto 2012

I patrioti della Maiella

Siamo i patrioti della Montagna,
i disperati senza più tetto,
senza famiglia, senza campagna,
col cuore a brani nel nudo petto.


 Ma il cuor non è distrutto,
 o razza maledetta,
 e invoca dal Dio pel suo lutto
 il pugnal della vendetta.


Tutto ci han tolto, mèsse e bestiame,
badili e vesti, casa e paese;
hanno lordate le nostre chiese,
sputato sopra la nostra fame.


 Ma il cuor non è distrutto,
 o razza maledetta,
 e invoca dal Dio pel suo lutto
 il pugnal della vendetta.


Ormai per letto nulla ci resta
che neve e fango lungo i fossati;
e per guanciale sotto la testa
l'ossa dei nostri figli ammazzati.


 Ma il cuor non è distrutto,
 o razza maledetta,
 e invoca dal Dio pel suo lutto
 il pugnal della vendetta.


[Da "Le Cinque Guerre (1911-1945). Poesie e canti italiani" a cura di Renzo Laurano e Gaetano Salveti, Nuova Accademia Editrice, Milano 1965]


"I patrioti della Maiella" è un canto della Resistenza italiana scritto da Alfredo Piccioni. Il testo altro non è che uno sfogo risentito e disperato della gente che, aggredita dai nazifascisti, ovvero da coloro che hanno saccheggiato e distrutto case, ucciso e deportato persone innocenti, umiliato e insozzato ogni cosa pura e buona: ha deciso di combattere con grande coraggio la estrema prepotenza e l'inaudita violenza degli invasori e nello stesso tempo di vendicare tutte le malefatte subite dalla popolazione inerme. Sono i partigiani abruzzesi conosciuti come "Brigata Majella", dal nome del massiccio montuoso omonimo presso cui si riunirono i combattenti. La Brigata Majella fu uno dei gruppi più valorosi tra quelli dei partigiani, venne infatti decorata di Medaglia d'Oro al Valore Militare alla bandiera. Fu attiva tra 1943 ed il 1945, e diede un contributo notevole alla liberazione di Marche, Emilia-Romagna e Veneto. 

domenica 19 agosto 2012

Pauvre Martin

"Pauvre Martin" è il titolo di una canzone di Georges Brassens (Sète 1921 – Saint-Gély-du-Fesc 1981), che il cantautore francese pubblicò all'interno del suo secondo album uscito nel 1954: "Les Amoureux des bancs publics". È a mio parere uno dei brani musicali più toccanti e più belli di Brassens; parla di un pover uomo che passa la vita intera in solitudine a lavorare i campi, senza mai lamentarsi e senza mai disturbare nessuno. Dopo una vita di duro lavoro, sofferenze e stenti, quando capisce che sta per giungere la sua ora, senza dir niente ad alcuno prende la sua vanga (unica compagna della sua esistenza) e va a scavarsi la fossa per poi attendere l'arrivo della morte. È uno dei casi in cui la canzone d'autore (ai suoi antipodi) si occupa degli ultimi: i diseredati della Terra, coloro che vivono un'esistenza marginale e, per sopravvivere, sono costretti a fare lavori massacranti e miseramente retribuiti; eppure, alcuni di essi posseggono una umiltà e una mitezza che sbalordiscono: non si ribellano rabbiosamente al triste destino che gli è capitato, ma, rassegnati ad esso, lo sopportano stoicamente, fino al giorno della loro morte, senza mai un lamento, senza una supplichevole richiesta d'aiuto. La loro immensa dignità, il loro invidiabile coraggio e la loro forza di sopportazione li rendono degli eroi misconosciuti, e soltanto le menti eccelse (come quella di Brassens) si rendono conto della loro esistenza che molto ha a che fare con la santità.
La canzone "Pauvre Martin" fu tradotta in dialetto milanese e cantata da Nanni Svampa (nuovo titolo: "Poer Martin") che la incluse come terza traccia del suo Lp "Nanni Svampa canta Brassens" (1964). Fu quindi Beppe Chierici che la cantò in italiano col titolo "Tristo Martino" e l'inserì nell'album "Chierici canta Brassens" (1969). Ecco allora il testo di Brassens e, di seguito, quello di Beppe Chierici.
 
 
 
PAUVRE MARTIN
(G. Brassens)

Avec une bêche à l'épaule,
Avec, à la lèvre, un doux chant,
Avec, à la lèvre, un doux chant,
Avec, à l'âme, un grand courage,
Il s'en allait trimer aux champs!
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terre, creuse le temps!
Pour gagner le pain de sa vie,
De l'aurore jusqu'au couchant,
De l'aurore jusqu'au couchant,
Il s'en allait bêcher la terre
En tous les lieux, par tous les temps!
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terre, creuse le temps!
Sans laisser voir, sur son visage,
Ni l'air jaloux ni l'air méchant,
Ni l'air jaloux ni l'air méchant,
Il retournait le champ des autres,
Toujours bêchant, toujours bêchant!
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terre, creuse le temps!
Et quand la mort lui a fait signe
De labourer son dernier champ,
De labourer son dernier champ,
Il creusa lui-même sa tombe
En faisant vite, en se cachant...
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terre, creuse le temps!
Il creusa lui-même sa tombe
En faisant vite, en se cachant,
En faisant vite, en se cachant,
Et s'y étendit sans rien dire
Pour ne pas déranger les gens...
Pauvre Martin, pauvre misère,
Dors sous la terre, dors sous le temps!
 

 
 
TRISTO MARTINO
(G. Brassens - B. Chierici)

Con una vanga sulla spalla
e sulle labbra una canzon,
e sulle labbra una canzon,
e con nel cuor un gran coraggio
nei campi andava a lavorar.
Tristo Martino, triste miseria,
scava la terra e tira a campar.
Per guadagnarsi un po' di pane
dall'alba fino al tramontar,
dall'alba fino al tramontar,
in ogni luogo e ogni stagione
mai non smetteva di vangar.
Tristo Martino, triste miseria,
scava la terra e tira a campar.
Senza tradire sul suo viso
l'aria di chi voglia invidiar,
l'aria di chi voglia invidiar,
il campo altrui lui continuava
sempre a vangar, sempre a vangar.
Tristo Martino, triste miseria,
scava la terra e tira a campar.
Gli fece segno un dì la morte
l'ultimo acro di vangar,
l'ultimo acro di vangar,
scavò lui stesso la sua tomba
per non doverlo domandar.



venerdì 17 agosto 2012

Lo "Stabat Mater"

Lo "Stabat Mater" è una sequenza liturgica che trae le sue origini da una preghiera, o meglio una sequenza cattolica che, probabilmente, fu scritta da Jacopone da Todi alla fine del XIII secolo. Il testo della preghiera, in latino medievale, inizialmente descrive le sofferenze provate da Maria durante la crocifissione e la Passione del figlio Gesù; quindi colui che prega si rivolge alla Vergine Maria affinché possa renderlo partecipe delle sue sofferenze e di quelle del Cristo.
Lo "Stabat Mater" prima della riforma liturgica era usato durante l'uffico del venerdì santo e soprattutto durante la Via Crucis. Oggi viene eseguito in occasione della messa dell'Addolorata, che si svolge il 15 di settembre.
Musicalmente parlando, lo "Stabat Mater" nacque in forma di melodia gregoriana strutturata in sequenza, all'inizio del XVI secolo. Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) fu abrogato, per poi essere reinserito all'interno della liturgia nel 1717, da papa Bendetto XIII.
Molti illustri musicisti composero ed eseguirono lo "Stabat Mater"; tra i più famosi si possono citare Alessandro Scarlatti, Giovanni Battista Pergolesi, Antonio Vivaldi, Franz Joseph Haydn, Gioacchino Rossini e Giuseppe Verdi. Non ci sono dubbi però, sul fatto che lo "Stabat Mater" più bello e conosciuto, sia quello composto da Pergolesi. Il musicista marchigiano lo finì poco prima di morire; gli era stato commisionato infatti nel 1735 dalla laica confraternita napoletana dei Cavalieri della Vergine dei Dolori di San Luigi al Palazzo, per officiare alla liturgia della Settimana Santa. Ecco, di seguito, il testo latino dello "Stabat Mater".
 
 
 
Stabat Mater dolorosa
Iuxta crucem lacrimosa
Dum pendebat Filius

Cuius animam gementem,
contristatam et dolentem
pertransivit gladius.

O quam tristis et afflicta
fuit illa benedicta,
mater Unigeniti!

Quae maerebat et dolebat,
pia Mater, dum videbat
nati poenas inclyti.

Quis est homo qui non fleret,
matrem Christi si videret
in tanto supplicio?

Quis non posset contristari
Christi Matrem contemplari
dolentem cum Filio?


Pro peccatis suae gentis
vidit Iesum in tormentis,
et flagellis subditum.

Vidit suum dulcem Natum
moriendo desolatum,
dum emisit spiritum.


Eia, Mater, fons amoris
me sentire vim doloris
fac, ut tecum lugeam.


Fac, ut ardeat cor meum
in amando Christum Deum
ut sibi complaceam.


Sancta Mater, istud agas,
crucifixi fige plagas
cordi meo valide.

Tui Nati vulnerati,
tam dignati pro me pati,
poenas mecum divide.


Fac me tecum pie flere,
crucifixo condolere,
donec ego vixero.


Iuxta Crucem tecum stare,
et me tibi sociare
in planctu desidero.

Virgo virginum praeclara,
mihi iam non sis amara,
fac me tecum plangere.

Fac, ut portem Christi mortem,
passionis fac consortem,
et plagas recolere.


Fac me plagis vulnerari,
fac me Cruce inebriari,
et cruore Filii.

Flammis ne urar succensus,
per te, Virgo, sim defensus
in die iudicii.


Christe, cum sit hinc exire,
da per Matrem me venire
ad palmam victoriae.


Quando corpus morietur,
fac, ut animae donetur
paradisi gloria. Amen.



martedì 14 agosto 2012

Hit Parade del 14 agosto 1976 (primi cinque posti)

La lontana estate del 1976 vide l'affermazione definitiva di Gianni Bella, che dopo il successo di "Più ci penso" del 1974 e dopo il fiasco di "Oh! Mama" dell'anno successivo, con "Non si può morire dentro" dominò la classifica dei 45 giri durante tutta l'estate e vinse anche il Festivalbar. Pur ottenendo altri risultati eccellenti anche negli anni a seguire, il cantante siciliano non arrivò più ad un livello di consensi simile a quello del '76.
Dopo Bella fu un gruppo americano ad imporsi durante la stagione estiva: i Santana, guidati da Carlos Augusto Alves Santana, chitarrista messicano di indiscussa bravura, proposero un pezzo strumentale molto bello intitolato "Europa (Earth's Cry Heaven's Smile)" che spopolò in Italia e nel mondo.
Al terzo posto di quella classifica pre-ferragostana c'era un altro gruppo, questa volta però italiano, i Daniel Sentacruz Ensamble; "Linda bella Linda", così s'intitola il brano in classifica, aveva partecipato al Festival di Sanremo piazzandosi all'ottavo posto, per poi entrare nella Top Ten dei singoli più venduti rimanendovi a lungo (estate compresa).
Quarto posto per Afric Simone, un cantante africano (nacque nel Mozambico) che con un pezzo molto accattivante: "Ramaya", riuscì ad ottenere, in quell'anno, una affermazione clamorosa un po' in tutta Europa.
Quinta posizione infine per il complesso dei Santo California, che tornarono ai vertici delle classifiche dei 45 giri un anno dopo "Tornerò", ovvero la canzone che diede al gruppo campano fama nazionale; "Dolce amore mio", brano che i Santo California presentarono nel '76 e che molto ricalcava le atmosfere (indubbiamente affascinanti) del disco precedentemente citato, e ottenne per questo un più che discreto successo.




CLASSIFICA DEI 5 SINGOLI PIU' VENDUTI IN ITALIA DEL 14/8/1976

1.  Non si può morire dentro - Gianni Bella
2.  Europa - Santana

3.  Linda bella Linda - Daniel Sentacruz Ensamble
4.  Ramaya - Afric Simone
5.  Dolce amore mio - Santo California

lunedì 13 agosto 2012

Vincent

Sono passati quasi quarant'anni dall'uscita di "Vincent", stupenda canzone giunta in Italia nel 1973 e scritta e interpretata dal cantautore statunitense Don McLean, che fu inserita quale sigla d'apertura di uno sceneggiato televisivo trasmesso dalla Rai proprio in quell'anno intitolato "Lungo il fiume e sull'acqua". Il disco (all'epoca un 45 giri) ottenne in breve un formidabile successo e raggiunse l'apice della classifiche italiane. Il testo di "Vincent", bello come la musica, parla del famoso pittore olandese Vincent Van Gogh e di alcune sue opere importanti (chiaro è il riferimento delle parole con cui comincia il pezzo: "Starry starry night" ad un quadro molto suggestivo di Van Gogh che s'intitola "Notte stellata"). Risalta soprattutto la comprensione e l'ammirazione da parte del cantautore americano nei confronti dell'uomo Van Gogh, sempre assillato da un precario stato mentale ed emotivo che influenzò in modo determinante la sua vita; per questo è definito da Don McLean: "persona meravigliosa" incapace di essere capita dalla gente, quasi sempre indifferente e ostile sia all'arte che alle debolezze umane. Il testo del brano musicale fu tradotto in italiano da Francesco De Gregori e, col titolo cambiato in "Come un anno fa", fu cantato da Little Tony nel medesimo anno (1973). Più di vent'anni dopo, esattamente nel 2005, è stato Roberto Vecchioni a rielaborare il testo e a ricantare in una nuova versione "Vincent", inserendo l'interpretazione (ottima in vero) nel suo album dal vivo "Il contastorie". Il cantautore lombardo e Enrico Nascimbeni qui danno voce a Paul Gauguin, grande pittore e caro amico di Van Gogh con il quale però ebbe più di una dicussione, e immaginano che nella canzone sia proprio lui a scrivere un commosso addio per l'amico morto. Chiudendo riporto i testi della canzone in inglese ed in italiano, seguendo in quest'ultimo caso la versione di Vecchioni.
 
 
 
VINCENT
(Don McLean)
 
Starry, starry night
Paint your palette blue and gray
Look out on a summer's day
With eyes that know the darkness in my soul...
Shadows on the hills
Sketch the trees and the daffodils
Catch the breeze and the winter chills
In colors on the snowy linen land.
Now I understand
What you tried to say to me
And how you suffered for your sanity
And how you tried to set them free
They would not listen; they did not know how
Perhaps they'll listen now.
Starry, starry night
Flaming flowers that brightly blaze
Swirling clouds in violet haze
Reflect in Vincent's eyes of china blue
Colors changing hue
Morning fields of amber grain
Weathered faces lined in pain
Are soothed beneath the artist's loving hand.
Now I understand
What you tried to say to me
And how you suffered for your sanity
And how you tried to set them free
They would not listen; they did not know how
Perhaps they'll listen now.
For they could not love you
But still, your love was true
And when no hope was left inside
On that starry, starry night
You took your life as lovers often do
But I could've told you, Vincent:
This world was never meant
For one as beautiful as you.
Starry, Starry night
Portraits hung in empty halls
Frameless heads on nameless walls
With eyes that watch the world and can't forget
Like the strangers that you've met
The ragged men in ragged clothes
The silver thorn, a bloody rose
Lie crushed and broken on the virgin snow.
Now I think I know
What you tried to say to me
And how you suffered for your sanity
And how you tried to set them free
They would not listen; they're not listening still
Perhaps they never will...
 
 
 
VINCENT
(R. Vecchioni - E. Nascimbeni - Don McLean)


Guarderò le stelle
com'erano la notte ad Arles,
appese sopra il tuo boulevard;
io sono dentro agli occhi tuoi,
Víncent.
Sognerò i tuoi fiori,
narcisi sparpagliati al vento,
il giallo immenso e lo scontento
negli occhi che non ridono,
negli occhi tuoi,
Vincent.
Dolce amico mio,
fragile compagno mio,
al lume spento della tua pazzia
te ne sei andato via,
piegando il collo
come il gambo di un fiore:
scommetto un girasole.
Sparpagliato grano,
pulviscolo spezzato a luce
e bocche aperte senza voce
nei vecchi dallo sguardo che non c'è
poi le nostre sedie
le nostre sedie così vuote
così "persone",
così abbandonate
e il tuo tabacco sparso qua e là.
Dolce amico,
fragile compagno mio
che hai tentato sotto le tue dita
di fermarla, la vita:
come una donna amata alla follia
la vita andava via:
e più la rincorrevi
e più la dipingevi a colpi rossi
gialli come dire "Aspetta!",
fino a che i colori
non bastaron più...
e avrei voluto dirti, Vincent,
questo mondo non meritava
un uomo bello come te!
Guarderò le stelle,
la tua, la mia metà del mondo
che sono le due scelte in fondo:
o andare via o rimanere via.
Dolce amico mio,
fragile compagno mio,
io, in questo mare,
non mi perdo mai;
ma in ogni mare sai
"tous le bateaux
vont à l'hazard pour rien".
Addio, da Paul Gauguin.