martedì 30 ottobre 2012

Quest'anno il mare

Esistono alcune canzoni che stranamente rimangono nell'oblio pur essendo molto belle; è il caso di "Quest'anno il mare", brano di Luciano Michelini che uscì quale lato B di un disco a 45 giri del 1965. Michelini non è certamente molto conosciuto come cantante, lo è certamente come musicista e forse come autore di colonne sonore e come arrangiatore di canzoni interpretate da personaggi famosi. La canzone citata è secondo me superlativa sia per la musica che per le parole (entrambe di Michelini) capaci di creare un'atmosfera molto malinconica, visto che si parla di un periodo immediatamente successivo alla stagione estiva (forse settembre), quando le prime, forti piogge autunnali portano le acque del mare ad invadere parte della spiaggia, e a volte arrivano anche all'interno delle abitazioni edificate a poca distanza dalla riva. Nel testo di Michelini l'acqua diviene "distruttrice" di un amore ormai consumato, destinato a dissolversi come un castello di sabbia. Nulla ormai rimane di quell'amore estivo, tranne qualche traccia quasi invisibile delle parole intense e passionali scritte sulla rena che il vento cerca invano di recuperare.
 
 
QUEST'ANNO IL MARE
(Luciano Michelini)
 
Quest'anno il mare
s'è spinto molto avanti
e ha cancellato
le orme dell'estate.

La pioggia è entrata
nella tua casa
e lentamente
consuma i miei ricordi.

Rimane solo il vento
che cerca nella sabbia
le ultime parole
che tu dicevi a me.

sabato 27 ottobre 2012

E la città non lo sa

Esistono alcune canzoni di Giorgio Gaber (Milano 1939 - Montemagno di Camaiore 2003) della prima metà degli anni '60 che già preannunciano il futuro cambiamento del cantautore milanese, sempre più indirizzato verso un tipo di canzonetta che non sia soltanto fine a sé stessa ma che racchiuda un significato ed un impegno sociale tale da renderla qualcosa di più concreto e importante. Da questa tendenza sempre più consistente mano mano che Gaber interpretava i suoi brani musicali nel corso del decennio citato, si concretizzerà la svolta avvenuta proprio nel 1970, quando l'autore di "La ballata del Cerutti" e di "Trani a gogò" passerà al "Teatro-canzone" che ha poco a che vedere con la sua produzione discografica precedente. Una delle canzoni che preannunciano la svolta è senz'altro "E la città non lo sa"; fu inserita in un 33 giri del 1964 intitolato "Le canzoni di Giorgio Gaber" e passò quasi totalmente inosservata. Cosa assi ingiusta e inspiegabile, visto il sicuro valore del testo e la non scadente qualità della musica. Il testo parla di una qualunque giornata cittadina cominciando dalle prime ore della mattina, quando lentamente la luce si diffonde sulle case e la gente si avvia ad affrontare le gioie e i dolori quotidiani, per finire con la tarda sera, quando le ultime luci artificiali si vanno spegnendo e i rumori dei motori si diradano sempre più fin quasi a scomparire. È, come ripete più di una volta Gaber, un giorno come un altro, che si va ad aggiungere alla serie infinita di giorni insignificanti che si vivono nelle caotiche città moderne, tra la generale indifferenza di uomini divenuti ormai automi, visto che ripetono le solite azioni quotidiane e non si accorgono minimamente dei drammi, delle forti emozioni e delle pulsioni vitali di chicchesia, totalmente immersi in una esistenza ormai completamente svuotata di significato. Vengono in mente alcuni versi di una bellissima poesia di Camillo Sbarbaro i quali ottimamente descrivono la popolazione che è facile incontrare camminando sulle strade di una città moderna:

«Fronti calve di vecchi, inconsapevoli
occhi di bimbi, facce consuete
di nati a faticare e a riprodursi,
facce volpine stupide beate,
facce ambigue di preti, pitturate
facce di meretrici, entro il cervello
mi s'imprimono dolorosamente.
E conosco l'inganno pel qual vivono,
il dolore che mise quella piega
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,
e l'inutilità della lor vita
amara e il lor destino ultimo, il buio».
 
 
 
E LA CITTA' NON LO SA
(Giorgio Gaber - Renato Angiolini)

Un giorno come un altro
illumina le case si accendono le cose
e la città non lo sa.

Un’ora come un'altra
chi vive per amore chi muore di dolore
chi vive e non lo sa.

Un giorno come un altro
la gente passa e va
e la città non lo sa.

La luce della sera
già muore sulle case si spengono le cose
e la città non lo sa.

Fra poco tutto tace
si muove un po’ di luce sul tram che se ne va
e la città non lo sa.

Un giorno come un altro
la gente passa e va
e la città non lo sa.

giovedì 25 ottobre 2012

Il duomo di Milano

"Il duomo di Milano" è il titolo di una delle canzoni più belle e più struggenti di Enzo Jannaci. Fu inserita dal cantautore milanese nell'LP "La mia gente" (RCA, 1970) che contiene altri capolavori come "Messico e nuvole" e "Il dritto". Questo brano, scritto interamente da Jannacci, possiede un andamento malinconico raramente rintracciabile altrove e va ad aggiungersi ad altri pezzi riconducibili alla medesima tendenza come "La disperazione della pietà", "Giovanni telegrafista" e "Gli zingari", pubblicati da Jannacci più o meno nello stesso periodo. Mai nessuno prima di lui aveva saputo descrivere la città meneghina facendo emergere una sconsolata e irrimediabile tristezza che si avverte dall'inizio alla fine di questa stupenda canzone. Peccato che "Il duomo di Milano" oggi non sia ricordata tra i migliori brani musicali scritti e interpretati dal cantautore milanese.
 


IL DUOMO DI MILANO
(Enzo Jannacci)

Sporge il bancone
di dolci lacrime d'addio
quel giovanotto
malato di ricchezza
ed il garzone
le asciuga ad una ad una
e a casa la sera
se ne innamora.

Han chiuso nella sua tomba
l'acqua del mio canale
han chiuso nella sua tomba
l'acqua del mio canale
s'è lamentato una volta
una volta sola
quando qualcuno lo ha percosso
con una frusta di giornali.

C'è ancora chi pulisce
con l'alcool la sua vetrina
c'è ancora chi pulisce
con l'alcool la sua vetrina
ma non risponde più al tuo saluto
perché t'han cambiato il cervello
perché t'han cambiato il cervello
in Via Lomellina, in Lomellina.

Il duomo di Milano
è pieno d'acqua piovana
Il duomo di Milano
è pieno d'acqua piovana,
ce l'han portata con gli ombrelli
ce l'han portata con i pianti
ce l'han portata con i pianti
per la redenzione delle puttane.