lunedì 22 aprile 2013

Rido per tenere indietro le lacrime


Io e il mio guardiano non andiamo d'accordo,
ma egli non conosce, perché non me lo chiede,
non conosce, non conosce il mio pensiero
quando mi vede ridere
(e rido per tenere indietro le lacrime).

Che c'è ora?
Io e il mio guardiano non possiamo
in nessun modo andar d'accordo.
Non conosce, non conosce il mio pensiero,
quando mi vede ridere
(e rido per tenere indietro le lacrime).

Mi chiamò di sotto mentre ridevo
e mi prese a calci - questo non fu
che il principio.

Devo avere un aspetto per i bianchi
e un altro aspetto per me stesso.
Non conosce, non conosce il mio pensiero
quando mi vede ridere.



Ecco il testo di un bellissimo canto di protesta che parla di incomunicabilità, di sopraffazione, di violenza e di razzismo: l'uomo bianco non vuole o non è in grado di capire che le risate dell'uomo di colore, costretto dall'uomo bianco ad una vita da schiavo, non sono derisorie per alcuno, né tanto meno irrispettose, ma riassumono una filosofia semplice: cercare l'allegria per non pensare troppo alla cruda e dura realtà, cercare in qualche modo di eluderla, di ignorarla: "ridere per tenere indietro le lagrime"; per questa sua limitatezza mentale e per una ottusa prepotenza l'uomo bianco si sente colpito direttamente dal riso dell'uomo di colore e lo picchia, non sapendo fare o dire altro.

venerdì 19 aprile 2013

"Tutti morimmo a stento" di Fabrizio De Andrè


Tutti morimmo a stento (Cantata in si minore per coro e orchestra) è il titolo di un album storico di Fabrizio De Andrè uscito nel 1968. La sua storicità consiste nel fatto che fu il primo disco nato con una caratteristica particolare: tutte le canzoni che lo compongono sono incentrate sullo stesso tema (la morte in questo caso) e, quindi, va considerato come il primo concept album italiano. Per chi non lo sapesse un concept album è un disco in cui tutti i brani parlano di un determinato argomento o comunque risultano consequenziali, ossia formano dei tasselli che, messi insieme, compongono una storia. Nell'album in questione ci sono delle canzoni bellissime, entrate a far parte dei capolavori musicali di De Andrè: Ballata degli impiccati, Inverno, Girotondo e Terzo intermezzo spiccano sulle altre; la prima è una ballata che nasce dalla lettura di una poesia famosa di François Villon che ha il medesimo titolo del brano musicale (quello francese è Ballade des pendus) anche se gli impiccati di De Andrè, a differenza di quelli di Villon, mostrano un forte risentimento che sfocia nel vero e proprio rancore, nei confronti di coloro che li hanno condannati a morte. Inverno è una bella poesia sulla morte che si avvale di una musica eccezionale; il luogo descritto è un camposanto ricoperto di neve dove si sofferma un personaggio non identificabile che viene esortato (forse dai morti) a proseguire il suo cammino: «Ma tu che stai, perché rimani? / Un altro inverno tornerà domani / cadrà altra neve a consolare i campi / cadrà altra neve sui camposanti». Girotondo è una canzone che risente del clima in cui si viveva quando fu scritta, gli anni della guerra fredda fra le due superpotenze mondiali: Stati Uniti e Unione Sovietica e prefigura una situazione che tutti temevano in quel periodo: lo scoppio di una guerra nucleare che avrebbe devastato la terra. Il pezzo è originalissimo e, oltre alla voce di De Andrè, si avvale di quelle dei "Piccoli Cantori". Terzo intermezzo è una profonda meditazione sull'amore e sull'odio, quest'ultimo rappresentato dalla guerra e, di conseguenza, dalla morte; si tratta, anche in questo caso, di una vera e propria poesia di cui riporto alcuni versi: «La polvere, il sangue, le mosche e l'odore; / per strada, fra i campi, la gente che muore; / e tu, tu la chiami guerra e non sai che cos'è, / e tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché».
Per quanto riguarda le altre canzoni, Cantico dei drogati è ispirata ad una poesia di Riccardo Mannerini, Leggenda di Natale si rifà ad un brano di Georges Brassens mentre gli ultimi due pezzi: Recitativo e Corale si accavallano essendo il primo un monologo (in forma poetica) di De Andrè e il secondo un canto eseguito da un coro che è inserito negli intervalli o durante la recitazione del cantautore ligure.



martedì 16 aprile 2013

Nebbi' a la valle


Nebbi' a la valle e nebbi' a la muntagne,
ne la campagne nen ce sta nesciune.

Addije, addije amore
casch' e se coje
la live e casch' a l'albere li foje.

Casche la live e casche la ginestre,
casche la live e li frunne ci reste.

Addije, addije amore
casch' e se coje
la live e casch' a l'albere li foje.


SPIEGAZIONE: Nebbia alla valle e nebbia alla montagna, / nella campagna non c'è più nessuno. / / Addio, addio amore, / casca e si raccoglie / l'oliva e cascano dall'albero le foglie. / / Casca l'oliva e casca la ginestra, / casca l'oliva e ci restano le fronde. / / Addio, addio amore, / casca e si raccoglie / l'oliva e cascano dall'albero le foglie.
(Da "Il folk italiano. Canti e poesie popolari", Newton Compton, Roma 1975)



È un canto di lavoro abruzzese che veniva intonato dalle raccoglitrici di olive, in particolare da quelle che lavoravano sulle montagne della Maiella. Nel testo c'è, insieme alla descrizione di un paesaggio tipico autunnale, l'estremo e malinconico saluto delle donne ai loro uomini, costretti nei mesi più freddi ad abbandonare le loro terre per cercar lavoro in altri luoghi. L'impressione generale che trasmette questo canto è di una languida tristezza, dovuta sia alla visione del paesaggio desolato e desolante che mostra, oltre al grigiore causato dalla nebbia, un senso di caducità perché d'autunno tutto sfiorisce e muore, sia per il motivo spiegato in precedenza: l'allontanamento degli uomini dai loro luoghi d'origine.
Sia la musica che, in parte, le parole, furono riprese da Domenico Modugno in una canzone del 1973 intitolata "Amara terra mia": qui il testo si differenzia da quello del canto popolare perché allarga il discorso all'intero meridione che viene descritto come una terra povera, sempre più abbandonata a sé stessa, i cui abitanti gradatamente se ne vanno altrove in cerca di maggiore fortuna.

lunedì 15 aprile 2013

E canta la zighéla


E canta la zighéla: taia taia,
e gran a e patron, a e cuntadèn la paia.
E canta la zighéla: tula, tula,
e gran a e patron, a e cuntaden la pula.
E canta la zighéla e a zigalèn,
e gran a e patron, la pula a e cuntadèn. 



Un canto popolare dell'Emilia Romagna sui padroni di ieri che sono uguali a quelli di oggi, sempre pronti coi loro modi subdoli e furbeschi, a sfruttare i lavoratori che vorrebbero ridotti a schiavi.

domenica 14 aprile 2013

Santa Maria Altissima


Santa Maria Altissima,
ata cchiù de 'na nave,
tutti 'ssi bielli giuvani
su' misi a consumari.
Santa Maria Altissima,
ata cchiù de castiellu,
tutti 'ssi bielli giuvani
su' misi a lu macellu!



È un canto che intonavano più di un secolo fa le donne calabresi che spesso vedevano i loro ragazzi ed i loro mariti partire sulle navi perché arruolati; è una accorata preghiera rivolta alla Madonna affinché abbia pietà di tutti quei giovani che, destinati al fronte di guerra, rischiavano di non tornare mai più. L'ultimo verso del canto rappresenta un netto atto d'accusa nei confronti della guerra definita senza mezze parole "macello".

sabato 13 aprile 2013

Flowers! Flowers!


Flowers! Flowers!
Cheap to cheap today!
Chi me l'à fatto ffà
vennì sta terra cà
in cerca di speranza
e nun l'aggia truvà.
Chrysanthem, pink, roses,
cheap to cheap today!
Flowers! Flowers!


È un testo ricavato dallo studioso italiano Roberto Leydi che nella prima metà del Novecento si trovava negli Stati Uniti d'America e vide un venditore ambulante (anche lui italiano) che, cercando di vendere la sua merce strillava queste frasi miste, in inglese e in napoletano; le prime del tutto consone al lavoro di venditore, le seconde quasi un grido disperato per la condizione miserrima in cui l'emigrante si era venuto a trovare nel nuovo continente. Se si riflette, si troveranno tanti agganci e numerosi riferimenti ai tempi odierni in cui la situazione sembra, in parte, rovesciata: siamo noi italiani infatti che veniamo quotidianamente assaliti dalle richieste di acquisto degli extracomunitari, i quali evidentemente penseranno di non aver trovato, nel nostro paese, un Eldorado.

giovedì 11 aprile 2013

Gli Opera


Gli Opera sono stati un complesso musicale pop nato dalle ceneri di un altro gruppo: i Gens. Fu proprio uno dei componenti di quest'ultimo, Filiberto Ricciardi, che fondò gli Opera, portando con sè anche il batterista Pino Allegro; gli altri membri degli Opera erano Vincenzo Macagnani e Giacomo Mantineo. Esordirono pubblicando il loro primo 45 giri (lato A: Donna di chi, lato B: Se tu, se mai) nel 1975; nel 1976 parteciparono al Festival di Sanremo col brano: L'ho persa ancora; nel 1977 ottennero il loro maggiore successo con Stelle su di noi che partecipò anche al Festivalbar. Altri successi degli Opera sono: Re Salomone (1978), Il diario dei segreti (a Sanremo nel 1979), Volare mai (1980) e Guerriero (ancora a Sanremo nel 1981). Chiusero la loro storia musicale con l'uscita dell'ultimo 45 giri: Guai nel 1981. Ecco infine il testo del loro pezzo più rappresentativo: "Stelle su di noi", ben inserito nella corrente melodica/mediterranea italiana degli anni '70.



STELLE SU DI NOI
(F. Ricciardi)

Pulita e semplice
con gli occhi grandi, tu
mi sembri un angelo.

Quel seno piccolo
nasconde l'anima
e c'è da chiedersi:

Forse tu sei sola
come me... 
Una corsa e via
a ballare con te,
sulla spiaggia con te,
con la voglia di te...
Poi nel silenzio mi vuoi
e stelle su di noi.

Forse tu sei sola
come me... 
Questa notte io
sulla spiaggia con te,
a sognare con te,
m'innamoro di te...
Stretti, abbracciati ora noi
e innamorati.

Se ti allontani da me
ho paura perché
ho bisogno di te
poi nel silenzio mi vuoi
e stelle su di noi.