Addio Elena è una canzone di Sergio Endrigo che fu pubblicata nel 1978 in un disco a 33 giri intitolato
Donna mal d'Africa. Precisamente la canzone menzionata è la prima del lato B. Non fu uno dei più grandi successi di Endrigo, pur possedendo delle qualità non indifferenti, sia riferendosi alla musica che, soprattutto, alle parole. Il testo infatti è una sorta di commiato dalla donna amata da parte di un uomo malinconico e rassegnato. Si potrebbe definire una poesia crepuscolare per motivi che riguardano alcune frasi e molti vocaboli usati spesso dai cosiddetti poeti crepuscolari. Già dall'inizio della canzone si può intuire che l'uomo è stato lasciato dalla compagna e che si trova in casa, in una situazione di totale abbandono (i calzini bucati, il letto sfatto, la porta-finestra sgangherata ne sono la prova). Più avanti si capisce che la vita di coppia, nelle ultime fasi, era divenuta ormai estremamente noiosa e inutile, che si prolungava stancamente in azioni e riti abitudinari senza un preciso motivo e senza slanci. L'ultima parte del testo utilizza una serie di termini e di pensieri che evidenziano la vita fallimentare dell'uomo; e proprio la parola "fallimento" (riferita all'impresa) è ben presente, seguita dalla "Torre di Babele": costruzione di cui si parla nella Bibbia, destinata a crollare in eterno. Stesso discorso vale per il "veliero mai partito" e per l'estremo saluto del capitano dalla "nave ormai a fondo". Le ultime parole, tornando al crepuscolarismo, esprimono chiaramente la totale inutilità ed inadeguatezza della vita di un uomo che, si avverte palesemente, sembra godere della sua completa sconfitta.
ADDIO ELENA
(S. Endrigo - C. Mattone - S. Endrigo)
I
o ti saluto Elena
dai miei bottoni perduti
dai buchi freddi dei calzini
senza rancore e senza lacrime.
Io ti saluto Elena
dalle porte-finestre sgangherate
dai letti sfatti da tre giorni
dal mio cavallo a dondolo
io ti saluto Elena.
Dalle mie notti spettinate
dai tuoi capricci da bambina
dalle tue voglie ritardate
da una rosa settembrina
Dalle mie sbronze senza rete
dalla nostra assemblea permanente
dal ruggito del Black & Decker
ti saluta il comandante.
Da questa terra di nessuno
dal fallimento dell'impresa
dall'ultimo pane fatto in casa
da questa Torre di Babele.
Dal mio veliero mai partito
dalle mie conchiglie usate
dalla nave ormai a fondo
ti saluta il capitano.
Io ti saluto Elena
da un aquilone senza filo
dal filo senza palloncino
da questi versi inutili
io ti saluto Elena.
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