Allora non si può cominciare che con Fabrizio De André: in quegli anni particolarmente prolifico, che sciorinò anno su anno dei capolavori come "Il testamento" (1963), "La guerra di Piero" (1964), "La canzone di Marinella" (1964), "La città vecchia" (1966), "Canzone dell'amore perduto" (1966), "Preghiera in gennaio" (1967), "Bocca di rosa" (1967), "Il gorilla" (1969). Qui (e l'elenco potrebbe allungarsi) il cantautore genovese tratta argomenti diversissimi tra loro: la morte, la guerra, l'emarginazione, l'amore, l'amicizia, il sesso, l'ipocrisia ecc. mostrando eccezionale acume e mostruosa bravura. Fatidica, anche per la musica leggera italiana, la data del 1968: quando De André pubblicò il primo album a tema (in questo caso la morte) intitolato: "Tutti morimmo a stento". Anche in tale album è possibile trovare capolavori di superlativa bellezza come "Inverno" e "Girotondo".
Come è noto, la breve e sofferta carriera di Luigi Tenco si concluse tragicamente all'inizio del 1967, dopo l'eliminazione di "Ciao amore, ciao" dalla finale del Festival della canzone italiana. Nei sei anni qui analizzati Tenco passò progressivamente da una canzone che prediligeva il tema amoroso ad una che si occupava di tematiche scottanti, di attualità e di costume, e che quindi poneva l'impegno al primo posto. Tra i titoli delle sue migliori canzoni voglio ricordare: "Io sì" (1963), "Ragazzo mio" (1964), "Ho capito che ti amo" (1964), "Vedrai vedrai" (1965), "Un giorno dopo l'altro" (1966), "Lontano lontano" (1966), "Io sono uno" (1966), "Io vorrei essere là" (1966), "Ognuno è libero" (1966).
Sergio Endrigo fu un altro cantautore che trovò, in questo preciso periodo, modo di esprimersi al meglio, ottenendo anche qualche gratificazione in verità rara se si parla di cantautori italiani: vinse infatti il Festival della canzone italiana del 1968 con "Canzone per te". Ma Endrigo, al contrario di De André e di Tenco, anche in questi anni continuò, principalmente, a parlare d'amore, seppure nel suo inimitabile, piacevolissimo stile; così nacquero pezzi indimenticabili come: "Era d'estate" (1963), "Mani bucate" (1965), "Teresa" (1965), "Adesso sì" (1966), "Lontano dagli occhi" (1969). Nel contempo, seppur di rado, il cantautore di Pola volle anche trattare temi di attualità come l'emigrazione ("Il treno che viene dal sud", 1967), di storia ("La ballata dell'ex", 1966; "Anch'io ti ricorderò, 1968; "1947", 1969) e di costume ("Il dolce paese", 1968; "Sophia", 1969); in altri brani tornò ad ispirarsi agli amati chansonnier francesi ("Viva Maddalena", 1963) e in altri ancora toccò direttamente la poesia, mettendo in musica testi di Pier Paolo Pasolini, José Martí e Paul Fort ("Il soldato di Napoleone", 1963; "La rosa bianca", 1963; "Girotondo intorno al mondo", 1966).
Gino Paoli nel 1963 si impose alla grande con un brano: "Sapore di sale", che a torto viene spesso annoverato tra le canzonette balneari di quel tempo. Nello stesso anno o giù di lì cantò altri brani memorabili come "Che cosa c'è" (1963), "Basta chiudere gli occhi" (1964), "Ieri ho incontrato mia madre" (1964), "Prima di vederti", e tutte quante hanno come tema principe l'amore: esposto da Paoli in modo ineccepibile, con un phatos difficilmente rintracciabile altrove. Nella seconda parte degli anni '60 Paoli ebbe un calo d'ispirazione e di consenso, ma non mancano alcune canzoni da ricordare, come "Il poeta" e "Albergo a ore".
Giorgio Gaber era divenuto ormai un personaggio popolare, grazie anche alle sue molte apparizioni televisive; proseguì comunque la sua carriera di cantante, e proprio in quegli anni pubblicò molti dischi che ancora oggi si ricordano. Tra le sue migliori canzoni, si possono citare: "Porta romana" (1963), "Le nostre serate" (1963), "E allora dai" (1967), "Suona chitarra" (1967), "Il Riccardo" (1968) e "Com'è bella la città" (1969). Vorrei però ricordare due bellissimi brani musicali che Gaber fece uscire soltanto in due album e che non sono per nulla conosciuti dal grande pubblico. Il primo è del 1964 e s'intitola: "E la città non lo sa"; tratta in modo esplicito della totale incomunicabilità e della generale indifferenza che caratterizza la vita degli esseri umani di una grande città. La seconda, del 1968, è "Un uomo che dal monte", testamento in musica di un uomo che non sente più alcuna spinta vitale. Dopo il 1969 Gaber si dedicò sempre meno alla canzonetta, abbracciando in toto il mestiere di attore teatrale, pur continuando a scrivere ed eseguire canzoni nate appositamente per i suoi spettacoli.
In questi anni viene allo scoperto l'immenso talento di Enzo Jannacci, che canta parecchie canzoni di pregio, utilizzando sia il dialetto milanese che la lingua italiana; ecco allora: "El portava i scarp del tennis" (1964), "Sfiorisci bel fiore" (1965), "Faceva il palo" (1966), "Vengo anch'io. No tu no" (1967), "Giovanni telegrafista" (1967), "Ho visto un re" (1968), "Bobo merenda" (1968), "La ballata del pittore" (1968), "Pedro Pedreiro" (1968), "Gli zingari" (1969). Qui, spesso e volentieri, i protagonisti dei testi sono gli emarginati, gli sconfitti, i deboli di una società che non prova alcuna pietà per chi rimane indietro o per chi ha serie difficoltà a fare una vita normale. A volte la satira è molto pungente, grazie anche alla collaborazione di Dario Fo, amico di Jannacci e autore di alcune sue canzoni.
Anche Bruno Lauzi (1937-2006), altro famoso esponente della scuola genovese, seppure in ritardo rispetto ad altri suoi colleghi coetanei, si pone in evidenza con ottime canzoni. Tra i titoli si ricordano: "La banda" (1963), "Il poeta" (interpretata anche da Paoli, 1963), "Ritornerai" (1963), "Il tuo amore" (1965), "La donna del sud" (1966), "Una storia" (1966). Spirito prevalentemente romantico, Lauzi, come gli altri genovesi spicca per un tangibile pathos che accompagna un po' tutti i suoi brani musicali. Più raramente emerge anche una accattivante ironia.
Herbert Pagani (1944-1988) è stato, oltre che un cantautore, un poeta; e questo viene fuori in modo chiaro anche ascoltando le sue canzoni e soprattutto le sue cover. Infatti Pagani cantò diverse canzoni francesi traducendone i relativi testi in italiano. Ottime sono quelle di Brel, come "Lombardia" (1965), "Testamento all'italiana" (1966), "Sai che basta l'amore" (1966). Ma Pagani, nel contempo, interpretò anche i suoi brani: "Canta (che ti passa la paura)" (1967), "Cento scalini" (1969). L'apice del successo gli arrivò grazie ad "Albergo a ore" (1969), ottimo rifacimento di una vecchia canzone francese.
Domenico Modugno proseguì in modo egregio la sua carriera di cantante, alternandola a quella di attore. Tra le sue migliori interpretazioni di questo periodo vanno citate almeno "Dio come ti amo" (1966), "Cosa sono le nuvole" (1968) e "Meraviglioso" (1968). La prima vinse il Festival della canzone italiana, la seconda fu scritta insieme a Pier Paolo Pasolini e si ascolta anche in un episodio del film "Capriccio all'italiana", la terza infine è stata rieseguita qualche anno fa dai Negramaro ottenendo un nuovo, grande successo.
Il 1967 è l'anno delle'esordio musicale di Francesco Guccini (1940), che pubblicò un bellissimo album intitolato "Folk beat n. 1". Tra le tracce di questo disco si trovano almeno quattro pezzi famosi: "Noi non ci saremo", "In morte di F. S.", "Auschwitz" e "Il sociale e l'antisociale". I temi di queste canzoni sono decisamente importanti: l'inquinamento, la morte, la guerra, il razzismo, i comportamenti umani. Anche Guccini, purtroppo, occupandosi di argomenti scottanti, ebbe a che fare con la censura. Meditativo e amaro è il brano uscito nel 1968: "Un altro giorno è andato".
Prorompente fu l'ingresso nel mondo della musica leggera italiana da parte di Lucio Battisti (1943-1998), divenuto in pochi anni uno dei migliori cantanti italiani grazie a canzoni impareggiabili, che si avvalgono, oltre alle musiche di Battisti, dei testi del grande paroliere Mogol. Uscirono in questi anni: "Per una lira" (1966), "Balla Linda" (1968), "Io vivrò (senza te)" (1968), "Un'avventura" (1969), "Acqua azzurra acqua chiara" (1969), "Mi ritorni in mente" (1969), "29 settembre" (1969) eccetera. Per Battisti non conta molto l'argomento del testo, quanto l'intensità interpretativa e la particolarità delle parole, oltre alle intuizioni geniali riguardanti le musiche: tutto questo fece sì che il duo Battisti-Mogol continuasse a sfornare dischi di rara bellezza per molti anni ancora, gratificati sia dalla critica che dal pubblico.
Nel 1964 Lucio Dalla (1943-2012) pubblicò il suo primo 45 giri. A dire il vero, la sua produzione discografica che va dall'esordio al 1969 non spicca per grande qualità. Emerge comunque la bravura dell'artista emiliano, e qualche canzone, come "Lucio dove vai" e "1999", volendo, la si può salvare perché mostra una tendenza alla meditazione ed all'impegno che poi si concretizzerà nei primi anni '70.
Un altro cantautore milanese, che seppe magistralmente eseguire, tradotte in dialetto milanese, alcune delle migliori canzoni di Georges Brassens, è senz'altro Nanni Svampa (1938). Fece parte inizialmente del gruppo dei "Gufi", i quali si fecero notare sia nel settore musicale che in quello cabarettistico; in seguito cominciò a pubblicare dei dischi per suo conto, tra i quali l'eccellente "Nanni Svampa canta Brassens" (1964): qui spiccano soprattutto i brani: "Poer Martin", "L'erba matta" e "El gorilla". Dal 2° e dal 3° volume, dedicati sempre alle canzoni di Brassens si segnalano "El temporal" e "I panchett".
Anche Beppe Chierici (1937), attore e cantante divenne amico di Georges Brassens e, a seguito di questa amicizia, pubblicò un bellissimo 33 giri intitolato "Chierici canta Brassens" (1969) in cui si possono apprezzare le ottime interpretazioni da parte del cantautore italiano delle più belle canzoni dello chansonnier francese. Tra i pezzi migliori citerei: "Tristo Martino", "I lillà" e "Un bel fiore".
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