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domenica 15 giugno 2025

"Love in Portofino"

 Love in Portofino è il titolo di una canzone del 1958 scritta da Leo Chiosso (1920-2006) e Fred Buscaglione (1921-1960). Pur avendola già sentita chissà dove e chissà quando, ebbi modo di ascoltarla in modo più che soddisfacente dopo aver acquistato un cofanetto con dieci dischi a 33 giri intitolato Italian Graffiti 2; Love in Portofino si trova nel disco dedicato alle canzoni del 1960 (2° traccia del lato B), ed è interpretata da Johnny Dorelli. Superfluo quindi specificare il fatto che gli ideatori di tale cofanetto abbiano commesso un errore, che poi non è l'unico, poiché nel medesimo disco compaiono almeno altri due brani musicali usciti prima del 1960, uno dei quali è proprio di Buscaglione. Come già accennato, Love in Portofino fu scritta e pubblicata nel 1958 in due dischi a 45 giri; nel primo l'interprete è Fred Buscaglione, mentre nel secondo, in cui si nota una accentuazione, nella voce solista, del tono sentimentale, è cantata da un giovanissimo Johnny Dorelli; fu quest'ultimo ad avere un maggiore numero di vendite, ed ancora oggi la canzone viene ricordata spesso nella versione dell'artista milanese. Ricordo che, ai tempi in cui ancora avevo un giradischi e lo usavo anche spesso, mi succedeva di ascoltare frequentemente Love in Portofino, attratto sia dalla melodia che dalle parole. Il testo parla, come ben spiega il titolo, di un amore nato nell'affascinante e antico villaggio di pescatori che si trova sulla Riviera Ligure. Pur non avendo mai visitato questo luogo esclusivo, conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, la canzone mi piacque molto, e ascoltandola, immaginavo i possibili incontri dei due protagonisti in quel paradiso terrestre, provando ingenuamente a pensare che anch'io, un giorno, chissà come avrei potuto trovare l'amore della vita proprio lì. Nel 1959 anche la cantante francese Dalida (1933-1987) interpretò Love in Portofino, aggiungendo una parte del testo scritta in francese; il suo disco ebbe un buon successo, non solo in Italia. In seguito, il pezzo di Chiosso e Buscaglione fu interpretato da diversi artisti, ed anche in anni recenti la canzone è stata inserita in svariate opere di musica pop. A tal proposito, per caso mi sono imbattuto in una interpretazione che mi è parsa notevole; è quella di Golshifteh Farahani, inserita in un disco intitolato Dalida By Ibrahim Maalouf, dove il trombettista e compositore libanese citato nel titolo, si avvale di diverse voci femminili per interpretare in una nuova versione alcune tra le migliori canzoni di Dalida; Farahani è un'attrice e cantautrice iraniana naturalizzata francese, che in verità conosco solamente per aver cantato Love in Portofino in modo sublime; la sua versione si ispira parzialmente a quella di Dalida, mentre mi sembra che ci siano delle più evidenti somiglianze confrontandola con la versione di Dorelli.  



LOVE IN PORTOFINO

(L. Chiosso - F. Buscaglione)


I found my love in Portofino

Perché nei sogni credo ancor

Lo strano gioco del destino

A Portofino m'ha preso il cuor

Nel dolce incanto del mattino

Il mare t'ha portato a me

Socchiudo gli occhi a me vicino

A Portofino rivedo te

Ricordo un angolo di cielo

Dove ti stavo ad aspettar

Ricordo il volto tanto amato

E la tua bocca da baciar


I found my love in Portofino

Quei baci più non scorderò

Non è più triste il mio cammino

A Portofino I found my love


I found my love in Portofino

Down in the small Italian bay

And everything was so divino

In Portofino I found my way

The sun was shining that mattino

And so my words were just a few

I close my eyes and so vicino

In Portofino I still see you

See upcoming pop shows

Get tickets for your favorite artists

You might also like


There was a place made just for lovers

The skies and sea and friendly bar

Tables and chairs and lazy waiters

A curly boy playing guitar

And when it's night in Portofino

The stars are twinkling up above

I close my eyes and so vicino

In Portofino I found my love




venerdì 17 gennaio 2020

"Com'è bella la città" di Giorgio Gaber


La contrapposizione tra città e campagna ha origini antichissime, anche se oggi sembra definitivamente superata, almeno non sembra presa in considerazione come lo era una volta. Se si parla di canzoni, rimanendo nei confini dell'Italia, mi ricordo un periodo, compreso tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 del Novecento, in cui questo argomento era molto vivo ed estremamente sentito. La mia tesi è suffragata da una serie di canzoni che si ascoltavano allora, come Viva la campagna di Nino Ferrer, Cincinnato di Claudio Baglioni, Le allettanti promesse di Lucio Battisti, Un albero di trenta piani di Adriano Celentano ecc. Quest'ultimo era stato il primo a porre in risalto il problema della cementificazione di certi luoghi, nella celebre Il ragazzo della via Gluck, che partecipò al Festival di Sanremo del 1966. Dopo di lui, fu Giorgio Gaber il cantautore che più ebbe a cuore queste tematiche; in particolare, fu la canzone Com'è bella la città, uscita nel 1969, ad ottenere cospicui consensi ed a rendere Gaber ancor più popolare di quanto già fosse. Il testo di questo brano musicale, in realtà, ha come bersaglio la città, ironicamente decantata nei modi cari a Jacques Brel, ovvero con un ritmo inizialmente molto lento, seguito da un crescendo spasmodico che improvvisamente s'interrompe. Gaber, nel testo, si rivolge ad un amico che vive in campagna, e cerca di convincerlo a cambiare la sua residenza per andare ad abitare in una città; per allettarlo elenca in modo convulso una serie di qualità possedute dalle città, che in realtà ottengono l'effetto contrario, poiché fanno percepire la totale caoticità della vita cittadina. Insomma, è una implicita accusa all'ambiente usuale delle città: dominato dall'estremo traffico (e dal conseguente inquinamento); da un consumismo sfrenato; da una frenesia insensata; da una cementificazione senza limiti e senza criteri e dalla disumanizzazione degli individui. Potrà sembrare strano, ma il testo di questa canzone è presente in un vecchio libro di scuola, che usai tanti anni fa, al tempo delle scuole medie inferiori; ma, a pensarci bene, così strano non è, poiché esistono diverse canzoni popolari i cui testi posseggono requisiti tali da ben figurare anche in libri scolastici: Com'è bella la città può essere considerata certamente una di queste.





COM'È BELLA LA CITTÁ
(G. Gaber - A. Luporini)

Com'è bella la città
Com'è grande la città
Com'è viva la città
Com'è allegra la città
Vieni, vieni in città
Che stai a fare in campagna?
Se tu vuoi farti una vita
Devi venire in città
Com'è bella la città
Com'è grande la città
Com'è viva la città
Com'è allegra la città
Piena di strade e di negozi
E di vetrine piene di luce
Con tanta gente che lavora
Con tanta gente che produce
Con le réclames sempre più grandi
Coi magazzini le scale mobili
Coi grattacieli sempre più alti
E tante macchine sempre di più.
Com'è bella la città
Com'è grande la città
Com'è viva la città
Com’è...
Vieni, vieni in città
Che stai a fare in campagna
Se tu vuoi farti una vita
Devi venire in città
Com'è bella la città
Com'è grande la città
Com'è viva la città
Com'è allegra la città
Piena di strade e di negozi
E di vetrine piene di luce
Con tanta gente che lavora
Con tanta gente che produce
Con le réclames sempre più grandi
Coi magazzini le scale mobili
Coi grattacieli sempre più alti
E tante macchine sempre di più...

lunedì 29 luglio 2019

Io vivrò (senza te)


Questo è uno dei tanti capolavori della musica pop italiana, nati grazie alla straordinaria e durevole collaborazione tra Lucio Battisti e Giulio Rapetti (meglio conosciuto come Mogol). Ed è anche uno dei miei pezzi preferiti del cantante laziale, insieme a I giardini di marzo e a Pensieri e parole. Pur conoscendola vagamente già da bambino, cominciai ad apprezzare meglio Io vivrò nella mia primissima gioventù; nel periodo in cui mi capitava spesso di fare delle sortite nella Discoteca Laziale di Roma, non esitai, un giorno, a comperare la musicassetta che la conteneva. Seppi così che in origine faceva parte di un disco a 33 giri, pubblicato per la prima volta nel 1969, e che era intitolato semplicemente Lucio Battisti. A dire il vero, l'anno precedente era già stata inserita come lato B di un 45 giri che aveva, come primo brano musicale La mia canzone per Maria. Sempre nel 1968, Io vivrò comparve come lato B in un altro 45 giri, questa volta dei Rokes; nella interpretazione del complesso, però, mancano alcune parti del testo di Mogol. Da non dimenticare l'ottima versione del brano musicale che fu eseguita da Mina, e che si trova in un LP del 1971, intitolato: Del mio meglio. Ciò che mi piace della canzone è l'atmosfera drammatica e, in minor misura, malinconica che si respira; non è da meno, ovviamente, la melodia creata dal geniale e incomparabile estro di Lucio Battisti. Ricordo che, anni fa, non mi stancavo mai di ascoltarla e, tutt'ora, se mi capita la risento molto volentieri. Il testo parla di un uomo che è stato lasciato dalla sua compagna, e non riesce ad accettare la nuova situazione di abbandono e di profonda solitudine che sta vivendo. Prova, inizialmente, a far finta che tutto prosegua senza alcun problema, cercando di non pensarci, per poi crollare improvvisamente e sprofondare in un pianto senza margini consolatori. A parte le parole iniziali, che spiegano chiaramente la vicenda sentimentale del protagonista, il resto del testo potrebbe riferirsi anche a un altro tipo di perdita, quindi non necessariamente alla fine di un amore. Il pathos che trasmettono musica e testo è incredibilmente forte e coinvolgente, e le stesse atmosfere si possono facilmente riscontrare in altri brani musicali di Battisti, usciti negli anni successivi al 1968. Come ho detto all'inizio, Io vivrò va inserita di diritto tra le migliori canzoni di Battisti, ovvero tra quelle che non si possono dimenticare mai, una cosiddetta evergreen insomma.



IO VIVRÒ (SENZA TE)
(L. Battisti - Mogol)

Che non si muore per amore
è una gran bella verità
perciò dolcissimo mio amore
ecco quello,
quello che da domani mi accadrà

Io vivrò
senza te
anche se ancora non so
come io vivrò
Senza te,
io senza te,
solo continuerò
e dormirò,
mi sveglierò
camminerò,
lavorerò,
qualche cosa farò,
qualche cosa farò,
sì, qualche cosa farò,
qualche cosa di sicuro io farò:
piangerò,
sì, io piangerò.

E se ritorni nella mente
basta pensare che non ci sei
che sto soffrendo inutilmente
perché so, io lo so
io so che non tornerai

Senza te,
io senza te,
solo continuerò,
e dormirò,
mi sveglierò,
camminerò,
lavorerò,
qualche cosa farò,
qualche cosa farò,
sì, qualche cosa farò
qualche cosa di sicuro io farò:
piangerò,
sì, io piangerò.
Io piangerò...



giovedì 13 dicembre 2018

"Santa Lucia" di Francesco De Gregori


Santa Lucia è una canzone scritta e interpretata da Francesco De Gregori, che uscì per la prima volta, nel 1976, in un LP del cantautore romano che s'intitola Bufalo Bill. Io l'ascoltai e la scoprii più di dieci anni dopo, trovandola tra le canzoni di una musicassetta della Linea Tre della RCA intitolata Il mondo di Francesco De Gregori Vol. 2, e subito me ne innamorai. Ricordo che la sentivo molto spesso, quasi in continuazione, e non mi stancavo mai di farlo.
Si può affermare che sia una vera preghiera in forma di canzone; secondo me è il brano musicale più bello di Francesco De Gregori, e, tra l'altro, non credo di essere stato l'unico ad avere questa opinione, se è vero che anche il grandissimo Lucio Dalla la pensava in questo modo. Aggiungerò che ritengo Santa Lucia una della canzoni migliori nella storia della musica pop, paragonabile nel suo genere, e in parte simile, soltanto a Priere di Georges Brassens (ma quest'ultima è ispirata ad una poesia di Francis Jammes). Inutile dire che il testo si avvicina incredibilmente alla più autentica poesia, ma, nello stesso tempo, è innegabile che la musica e l'interpretazione di De Gregori rendano le parole ancor più intense e coinvolgenti.
Come dicevo, si tratta di una preghiera rivolta alla santa, affinché protegga la parte più sfortunata e derelitta dell'umanità: chi è costretto, per campare, a fare lavori decisamente pericolosi; chi vive in particolari luoghi estremamente difficili; chi percorre strade sbagliate e cade durante il suo tortuoso cammino; chi vive realtà di dipendenza che col tempo divengono fatali... Ma la preghiera si rivolge anche ad altre categorie, che commettono altri tipi di errori, compromettendo seriamente la serena e giusta convivenza tra i popoli.
C'è poi la parte finale, di una bellezza rara, in cui la richiesta di aiuto e di esaudimento verso la santa, ha come obiettivo un'umanità altrettanto sofferente, simbolicamente raffigurata da un violino dei poveri, da una barca sfondata e da un ragazzino che  prova a cantare; concentrandosi su quest'ultimo, le estreme parole della canzone esternano l'auspicio che il piccolo possa affrontare le infinite difficoltà che lo attendono nel corso della vita, in modo tale che non gli pesino più di tanto, e lo facciano maturare, fino a quando, divenuto un uomo, possa andare lontano, ovvero ottenere meritate gratificazioni e giuste soddisfazioni: le stesse che ottengono, senza guadagnarsele, quelle persone rientranti, ahimè, in categorie privilegiate e classi sociali elevate. La canzone è ancor più attuale oggi, in una società in cui le differenze tra ricchi e poveri, anno dopo anno si stanno facendo sempre più nette, e in cui succede troppe volte di vedere sciagure, scontri sociali e proteste di ogni tipo che nascono da ingiustizie; quasi sempre, chi combatte lo fa in nome di una democrazia latente e della tanto auspicata uguaglianza sociale, che oggi sembra diventata una vera e propria chimera.



SANTA LUCIA
( F. De Gregori)

Santa Lucia,
per tutti quelli che hanno gli occhi
e un cuore che non basta agli occhi
e per la tranquillità di chi va per mare
e per ogni lacrima sul tuo vestito,
per chi non ha capito.
Santa Lucia,
per chi beve di notte e di notte muore e di notte legge
e cade sul suo ultimo metro,
per gli amici che vanno e ritornano indietro
e hanno perduto l'anima e le ali.
Per chi vive all'incrocio dei venti
ed è bruciato vivo.
Per le persone facili che non hanno dubbi mai.
Per la nostra corona di stelle e di spine
e la nostra paura del buio e della fantasia.
Santa Lucia,
il violino dei poveri è una barca sfondata,
è un ragazzino al secondo piano
che canta, ride e stona:
perché vada lontano fa che gli sia dolce
anche la pioggia nelle scarpe,
anche la solitudine.

mercoledì 26 settembre 2018

"La mia estate con te" di Fred Bongusto


Dopo qualche anno di pausa, il 1976 vide di nuovo Fred Bongusto alla ribalta, grazie ad una canzone molto bella: La mia estate con te. Gli autori sono Giancarlo Colonnello (1935-2011) e Luigi Albertelli (1934); il primo, aveva già scritto le musiche di canzoni di successo come Non ho l'età (vincitrice del Festival di Sanremo nel 1964) e Da troppo tempo, ma aveva anche pubblicato diversi dischi con la sua voce tra il 1959 ed il 1962. Albertelli è un paroliere di grandissimo valore, autore di testi memorabili, soprattutto se si parla di canzoni degli anni '70. Ma il successo de La mia estate con te è dovuto anche all'interprete, poiché Bongusto qui mostra tutto il suo talento e la sua capacità di dosare la voce in modo perfetto e quella di trasmettere all'ascoltatore delle emozioni intense. L'artista molisano, si può ben dire, ha avuto nella stagione estiva il suo massimo splendore, e con questo brano si confermò in pieno "cantore dell'estate".


LA MIA ESTATE CON TE
(G. Colonnello - L. Albertelli)

Io vorrei mandarti al diavolo
con i miei problemi inutili
che son qui nell'anticamera
della mente, fanno ostacolo
al mio quieto sopravvivere,
dammi il tempo per decidere
se conviene aver le braccia tue,
la tua faccia, contro il petto mio
e da solo camminare io,
fare come non ci fossi tu
e gettarmi qualche amore via,
fare finta di fregarmene...
Come se
questa estate con te,
la mia estate con te
non contasse più
non bastasse più
non tornasse più.
Come se
la mia estate con te,
la mia vita con te
no, non fosse mai
esistita mai
e vissuta mai.

Quelle corse in automobile
per sentieri impraticabili,
le risate incontenibili
e i silenzi interminabili,
mi rendevano più libero
come quando sotto gli alberi
scendevamo a far l'amore noi,
e i sensi s'accendevano
e i pensieri si spegnevano,
tutte cose che ho provato io,
non posso rinnegarle io,
non cercare di convincermi...
Come se
questa estate con te
la mia vita con te
non contasse più
no, non fosse mai
esistita mai
e vissuta mai.

venerdì 24 agosto 2018

"No" di Gianni Bella


Nel 1978 Gianni Bella si riconferma tra i cantanti italiani di maggior talento e di sicuro successo; dopo Non si può morire dentro (1976) e Io canto e tu (1977), un'altra estate vede ai primi posti delle classifiche dei 45 giri più venduti, un disco del solista siciliano. S'intitola No la canzone di Bella che partecipò anche al Festivalbar di quell'anno, risultando tra le più gettonate dagli italiani. Bella la musica, e piuttosto originale il testo di Giancarlo Bigazzi, che in sostanza parla del dichiarato rifiuto, da parte di un uomo innamorato, alle prepotenze ed alle provocazioni della sua compagna: una donna molto bella che, proprio in virtù della sua particolare bellezza, si sente in diritto di calpestare la dignità di chi la ama e la rispetta. Si possono trovare diverse somiglianze col testo di Bella senz'anima - canzone di quattro anni prima, che rese celebre Riccardo Cocciante -. Discreto successo e fama ebbe pure Sei: il brano musicale presente sul lato B del disco citato. No rientra in un ristretto gruppo di canzoni che fanno parte di una personale, mitica e indimenticabile estate, per questo motivo, e perché ancora l'ascolto spesso e volentieri, ho voluto dedicargli un post.



NO
(G. Bella - G. Bigazzi)


E apri gli occhi tanto non puoi sognare
il tuo passato è chi non c'è più,
peccato che il balcone non ha più fiori,
se no nei miei capelli li metterei
e sarai bello come lei
e un po' la scorderei,
e invece piano dico no
No...

Stasera io dovrei prostituirmi
uscire con un'altra, un'altra te,
ballare come un orso e divertirmi
invece li ho lasciati tutti là.
In pizzeria non ho più
vent'anni senza te,
e camminando dico no,
No, No, No, No.

E quando tornerai non ti spogliare
perché anche un uomo solo può dir di no,
e fuori della porta vestita d'aria
a piangere e pregare io ti lascierò.
Essere bella non ti dà
diritto di far male,
col sale in bocca ti dirò
No...
No, No, No, No.

E mi ribello a tutto apertamente,
ai pacchi di riviste che hai lasciato tu,
al modo di guardare un altro e non dir niente:
sarò anche maschilista ma non ne posso più.
Ho mani forti e dolci anch'io,
ma del mio sesso non ne faccio un Dio,
vorrei vederti e dirti no...
No, No, No, No.

sabato 21 luglio 2018

"Io sono uno" di Luigi Tenco


Io sono uno comparve per la prima volta nell'album intitolato semplicemente Tenco, pubblicato dalla RCA nel 1966; più esattamente è la seconda traccia del lato A di questo disco; nel 1967, dopo la morte del cantante, il medesimo brano musicale fu ripubblicato dalla RCA come lato B di un 45 giri. Sull'estrema importanza che dava il cantautore ligure al proprio ego, bastino i tanti titoli di altre canzoni famose: Io sì; Io vorrei essere là; Non sono io; Io lo so già; Guarda se io. In questo caso, però, la prima persona è un modo appropriato per affermare delle realtà e delle verità, anche in maniera polemica. In sostanza, Tenco in questa canzone e in questo testo dichiara di comportarsi in modo limpido e coerente, al contrario di tante persone che assumono atteggiamenti subdoli, falsi, ostentatori e opportunisti. La canzone è divisa in quattro parti, ognuna delle quali attesta un tipo di comportamento del protagonista, che sembra quasi una reazione a quello adottato dalla massa. La prima parte parla della scarsa loquacità contrapposta ad un parlare eccessivo, ad alta voce e a vanvera; la seconda è invece un elogio della musoneria rispetto all'abitudine di sorridere sempre e comunque, mostrando quindi una maschera rassicurante al posto della propria espressione naturale; la terza è una forte critica all'esibizionismo e alla spudoratezza, qui esemplificata dallo sbandieramento di una relazione amorosa; la quarta, infine, vuole affermare che è sempre meglio avere il coraggio delle proprie idee, qualunque esse siano, e dichiararle apertamente piuttosto che adeguarsi ai tempi e, con bieco opportunismo, salire sempre sul carro del vincitore. Alla fine questi concetti espressi da Tenco riassumono alcuni comportamenti fastidiosi che molti italiani adottavano e adottano tutt'ora; comportamenti che Tenco evidentemente percepiva, rimanendone assai nauseato. Il testo, e la straordinaria interpretazione fatta di rabbia, grinta e disgusto, fanno di questa canzone un capolavoro da non dimenticare mai.




IO SONO UNO
(L. Tenco)

Io sono uno
che parla troppo poco, questo è vero
ma nel mondo c’è già tanta gente
che parla, parla, parla sempre
che pretende di farsi sentire
e non ha niente da dire.

Io sono uno
che sorride di rado, questo è vero
ma in giro ce ne sono già tanti
che ridono e sorridono sempre
però poi non ti dicono mai
cosa pensano dentro.

Io sono uno
che non dice chi è la sua donna, questo è vero
perché non ammiro la gente
che prima implora un po’ d’amore
e poi non appena l’ha avuto
lo va a raccontare.

Io sono uno
che non nasconde le sue idee, questo è vero
perché non mi piacciono quelli
che vogliono andar d’accordo con tutti
e che cambiano ogni volta bandiera
per tirare a campare.

venerdì 29 giugno 2018

"Gloria" di Umberto Tozzi


Umberto Tozzi, con le sue canzoni più famose, fa parte dei miei migliori ricordi. Negli ultimi anni '70 del XX secolo, che coincisero con la fine della mia infanzia e l'inizio della mia adolescenza, il cantante piemontese ottenne un successo eccezionale con ottime canzoni, e riuscì a scalare le classifiche dei dischi più venduti non solo in Italia, ma, in diversi stati europei e, addirittura, nei lontani Stati Uniti. In quegli anni, si può affermare che l'estate non era Estate se all'inizio della stagione Tozzi non aveva lanciato un pezzo musicale che, puntualmente, diventava una sorta di tormentone da giugno fino a settembre e oltre. Gloria è, credo, la sua canzone che ottenne maggiori consensi in assoluto, e che raggiunse picchi di vendite inusitati. In verità, nell'estate del 1979 (stagione in cui il disco di Tozzi spopolò), in Italia, in testa alle classifiche dei 45 giri più venduti vi fu Alan Sorrenti con Tu sei l'unica donna per me, e fu lui a vincere il Festivalbar (manifestazione canora che celebrava i dischi più gettonati nei juke-box durante l'estate), ma allargando i confini delle vendite, e considerando anche l'Europa e l'America, Tozzi ebbe un successo a dir poco straordinario, che molto raramente, nella storia della musica leggera, si è verificato in egual misura. La musica di questa canzone è di Umberto Tozzi, mentre il testo è del paroliere Giancarlo Bigazzi; i due avevano già creato altri successi negli anni precedenti, come Ti amo e Tu. La fortuna di questa canzone si protrasse nel tempo, perché dopo tre anni, Gloria fu interpretata in lingua inglese dalla cantante statunitense Laura Branigan e riuscì a raggiungere il primo posto della classifica dei singoli più venduti negli USA; in precedenza, l'impresa era riuscita soltanto a Domenico Modugno, con la sua celebre Nel blu dipinto di blu. Come ciliegina sulla torta, è giusto ricordare che Gloria ebbe l'ambito onore di essere trasposta in edizione sinfonica dalla rinomata London Symphony Orchestra.




GLORIA
(U. Tozzi - G. Bigazzi)

Gloria
manchi tu nell'aria
manchi ad una mano
che lavora piano
manchi a questa bocca
che cibo più non tocca
e sempre questa storia
che lei la chiamo Gloria
Gloria
sui tuoi fianchi
la mattina nasce il sole
entra odio ed esce amore
dal nome Gloria.

Gloria
manchi tu nell'aria
manchi come il sale
manchi più del sole
sciogli questa neve
che soffoca il mio petto
t'aspetto Gloria

Gloria
chiesa di campagna
acqua nel deserto
lascio aperto il cuore
scappa senza far rumore
dal lavoro dal tuo letto
dai gradini di un altare
ti aspetto Gloria

Gloria
per chi attende il giorno
e invece di dormire
con la memoria torna
a un tuffo nei papaveri
in una terra libera
per chi respira nebbia
per chi respira rabbia
per me che senza Gloria
con te nuda sul divano
faccio stelle di cartone
pensando a Gloria

Gloria
manchi tu nell'aria
manchi come il sale
manchi più del sole
sciogli questa neve
che soffoca il mio petto
t'aspetto Gloria


Gloria
chiesa di campagna
acqua nel deserto
lascio aperto il cuore
scappa senza far rumore
dal lavoro dal tuo letto
dai gradini di un altare
ti aspetto Gloria