Apriamo il dizionario e andiamo a leggere la definizione di "cantautore", troveremo la seguente: "Cantante di musica leggera che interpreta brani scritti o musicati da lui stesso". Ma, come sappiamo, un cantautore è ben più e ben altro rispetto a questa striminzita definizione. Per cominciare si potrebbe dire con sicurezza che i cantautori furono i primi a considerare il testo di una canzone più importante rispetto alla musica; secondariamente, l'interpretazione con loro diviene di fondamentale importanza, e per interpretazione s'intende una intensità, una intima emozione, un sentimento particolarmente elevato che si palesa nel cantare e che supera sia l'impostazione vocale che l'essere più o meno intonati. Ciò che conta, per il cantautore, è la passione, la verità, la rabbia che deve venire fuori ascoltando un brano musicale. Questa nuova, rivoluzionaria concezione della canzonetta si impose sempre di più a partire dalla fine della sesta decade del Novecento, fino a raggiungere il culmine nella seconda parte degli anni '70. Trattasi, al dunque, del periodo più bello, per creatività e qualità, della storia della musica leggera italiana. C'è infine da precisare che furono definiti cantautori anche coloro che si limitarono a scrivere soltanto le musiche delle loro canzoni, affidando il compito della stesura dei testi a parolieri di grande bravura. Ma questo discorso vale soltanto per chi seppe, come già sottolineato in precedenza, interpretare le canzoni in un certo modo.
A detta degli esperti di musica leggera, il padre di tutti i cantautori italiani è Domenico Modugno (1928-1994); eppure egli stesso, quando gli fu riferita questa cosa, affermò che non poteva considerarsi il "primo" cantautore, se per cantautore s'intende chi scrive le sue canzoni (sia i testi che le musiche); fece quindi il nome di Odoardo Spadaro (1893-1965) quale capostipite o caposcuola di questo genere di artisti. Io aggiungo che si potrebbe andare ancor più in là negli anni, considerando come primo cantautore italiano in assoluto Rodolfo De Angelis (1893-1965): autore e interprete di canzoni memorabili come "Ma cos'è questa crisi" (1933), "E se non fosse vero?" (1933), "Che ridere" (1934), "Bravo ma come parla bene!" (1935) dove seppe, con eccezionale ironia e rara intelligenza, porre in risalto alcuni problemi, vezzi e costumi della società del suo tempo. Tutto ciò tramite la bistrattata canzonetta, che negli anni '30 del XX secolo ancora non era considerata una forma artistica, anzi, veniva completamente ignorata o snobbata. Tornando a Modugno, è cosa nota che la sua canzone: "Nel blu dipinto di blu" (1958), scritta insieme a Franco Migliacci, è considerata quale svolta verso un nuovo modo di concepire la canzonetta, sia per quel che riguarda il testo che per la musica e la voce (in questo caso intesa quale strumento musicale). Come già molti sapranno, la canzone nacque dall'osservazione di un famoso dipinto del pittore Marc Chagall: "Sopra la città" e si estrinseca totalmente nel grido estasiato: "Volare", da cui il titolo col quale fu in seguito riconosciuta questa celeberrima composizione. C'è da ricordare, però, che Modugno in quel fatidico 1958 già aveva scritto e pubblicato altre canzoni "rivoluzionarie": una è senz'altro "L'uomo in frack", che fu stranamente ignorata o quasi alla sua prima uscita, nel 1955, e divenne invece uno dei brani più apprezzati del cantante pugliese, a partire dal 1959: quando fu ripresentata al pubblico con leggere varianti. In questo caso si può ben dire che, per la prima volta, un cantautore italiano si ispira alle opere degli chansonnier francesi, ovvero agli artisti che per primi attuarono quei mutamenti sostanziali sulla canzonetta tradizionale sì da essere poi identificati col nome di cantautori. Visto il successo ottenuto nel '58 ("Nel blu dipinto di blu" stravinse il Festival della canzone italiana), Modugno proseguì sulla medesima linea anche negli anni successivi, ottenendo alti consensi di critica e di pubblico. In alcuni casi le sue canzoni sfiorarono la poesia ("Notte di luna calante" ad esempio, ricorda molto alcuni versi dannunziani) e in altri la attraversò appieno: mi riferisco a quello che potrebbe definirsi un esperimento tentato per la prima volta da Mister Volare: musicare dei testi poetici. Modugno lo fece con due poesie di Salvatore Quasimodo: "Le morte chitarre" e "Ora che sale il giorno". La prima canzone uscì in un album del 1960, mentre la seconda fu pubblicata quale lato B di un 45 giri del 1961. Più avanti parlerò di altri esperimenti simili che però, ebbero scarso successo.
Dopo Modugno mi sembra giusto parlare di Gino Paoli (1934), impostosi due anni dopo con una serie di canzoni eccezionali: "Il cielo in una stanza", "Sassi", "Grazie", "La gatta". Anche nel caso di Paoli si può parlare di svolta sia per i testi che per la maniera di interpretare le canzoni. Lui, senza alcun dubbio, può ritenersi l'iniziatore della "scuola genovese" perché fu il primo, tra quelli nati nel capoluogo ligure o in liguria, a imporsi al grande pubblico, ed ebbe l'ottima idea di regalare alcune delle sue migliori canzoni a solisti di grandissimo talento che valorizzarono ancor più le sue creazioni. Sempre Paoli fu uno dei primi a portare in Italia alcuni capolavori di cantautori francesi (i primi, come già specificato, da cui nacque la definizione stessa) come Jacques Brel e Charles Aznavour.
A questo punto si deve parlare di Luigi Tenco (1938-1967): cantautore di un talento veramente straordinario, che però non si rivelò subito, dedicandosi all'inizio della carriera artistica ad altri generi. La svolta, per quel che riguarda quest'altro, grande esponente della scuola genovese, è rappresentata dalla canzone intitolata "Quando" (1961): interpretata anche da Peppino Di Capri, apprezzata da De André che la cantò pubblicamente, è la prima che mostra l'indole profondamente malinconica di Tenco. Negli anni seguenti il cantautore seppe migliorarsi notevolmente e nacquero così pezzi indimenticabili come "Angela" (1962), "Mi sono innamorato di te" (1962), "Il tempo passò" (1962): tutti i testi che parlano d'amore, ma che palesano una disperazione di fondo e una solitudine che cerca proprio nell'amore sognato una via d'uscita praticamente impossibile. Negli stessi anni Tenco cominciò a scrivere dei testi decisamente impegnati, come quello di "Cara maestra": manifesto mirabolante dell'ipocrisia di certa società italiana.
C'è poi Umberto Bindi (1932-2002), altro esponente della scuola genovese, autore di musiche di rara bellezza, le quali, unite agli ottimi testi di Giorgio Calabrese, fecero sì che nascessero capolavori come "Arrivederci" (1959), "Lasciatemi sognare" (1960) e "Il nostro concerto" (1960). Una velata vena malinconica è presente anche in molte canzoni di Bindi.
Ed ora parliamo di Fabrizio De André (1940-1999): il rivoluzionario dei rivoluzionari, il primo e totale innovatore della canzone italiana. Visto però che questo primo capitolo dedicato ai cantautori arriva fino al 1962, possiamo dire che già nel '61 De André pubblicò dei pezzi come "La ballata del "Miché" e "La ballata dell'eroe" che si avvalgono di testi e di musiche del tutto inedite per la musica leggera italiana. Per la prima canzone, bisogna riconoscere che molto si rifà alle ballate di Georges Brassens: forse il più grande cantautore francese, molto amato e in parte imitato da De André. "La ballata dell'eroe" è, per quel che ne so, la prima canzone antimilitarista mai vista in Italia (a parte alcuni canti popolari, soprattutto anarchici) in cui il cantante si dichiara, senza mezzi termini, contrario a qualsiasi concezione di eroismo bellico.
Al di fuori della scuola genovese, altri enormi talenti si posero in evidenza durante quegli anni; uno di essi è Sergio Endrigo (1933-2005), che inizialmente si dimostrò cantante tradizionale, ma già nel 1961 cominciò a seguire strade diverse, come dimostra "Via Broletto 34": testo e musica originalissimi, influenzati da certe canzoni francesi di Brel e di Beart. Il successo gli arrivò, improvviso, con "Io che amo solo te" (1962), dove l'amore, il romanticismo e la fedeltà sono trattati in maniera quantomai insolita. Bellissima ed estremamente malinconica è anche "Vecchia balera" (1962).
Quando esordì, nel 1958, Giorgio Gaber (1939-2003) aveva uno stile ed un gusto assi lontano da quello dei cantautori. Fu nel 1960 che cominciò ad invertire la sua rotta artistica, come dimostra il brano "La ballata del Cerutti": breve storia di un povero ladruncolo che finisce in prigione, descritta con particolare ironia e con una palpabile simpatia nei confronti del protagonista. Anche "Le strade di notte" (1961) dimostra una svolta nella musica di Gaber, questa volta però nella direzione assai meno scanzonata; anzi, qui si respira un'aria decisamente triste e, in parte, romantica. "Trani a gogò" è un altro pezzo che vuole descrivere una umanità semplice e modesta, che popolava certi locali milanesi agli inizi degli anni '60.
Milanese come Gaber, Enzo Jannacci (1935-2013) si impose in ritardo rispetto ai suoi colleghi cantautori. Nel periodo preso in considerazione è opportuno ricordare almeno "Passaggio a livello" (1961): bella canzone minimalista e scherzosa nello stesso tempo, che piacque a Tenco, il quale la reinterpretò ottimamente qualche anno dopo Jannacci.
Sicuramente e a torto meno conosciuto di tutti quelli di cui ho parlato fino ad ora, Piero Ciampi (1934-1980) esordì nel 1961 già in stile cantautorale, con brani decisamente intensi e impegnati che purtroppo ben pochi conoscono. Per citarne alcuni ricordo: "Autunno a Milano" (1961), "Confesso" (1962) e "Lungo treno del Sud" (1962).
Mi pare doveroso, a termine di questa dissertazione, ricordare il gruppo di Cantacronache, che, nato nel 1957 e terminato nei primi anni '60, potè contare su veri e propri talenti come Michele Straniero (il fondatore, 1936-2000), Sergio Liberovici (1930-1991) e Fausto Amodei (1934). Le canzoni dei Cantacronache rientrano di diritto nello stile cantautorale, trattando temi di politica e di attualità che mostrano un non comune impegno ed una novità nell'ambito della musica leggera italiana. In particolare mi piace ricordare due storici brani come "Dove vola l'avvoltoio" (1961) di Straniero e "Per i morti di Reggio Emilia" (1960) di Amodei.
mi sembra una buona analisi
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