martedì 10 ottobre 2023

"Che cosa resta"

 Che cosa resta è il titolo di una canzone di Franco Battiato (Ionia, 23 marzo 1945 – Milo, 18 maggio 2021), pubblicata come 9° traccia dell'album Fleurs (1999): una delle opere più belle del cantautore siciliano. Che cosa resta è una cover del celebre brano musicale francese Que reste-t-il de nos amours?, interpretata a partire dal 1942 dall'indimenticabile Charles Trenet (1913-2001), che ne è anche l'autore insieme a Léo Chauliac (1913-1977). Battiato, avvalendosi del testo già tradotto ottimamente dal poeta Gesualdo Bufalino (1920-1996) - il quale lo aveva inserito nel volume di versi L'amaro miele (dalla 3° edizione del 1996) - ne fece una versione personale, più malinconica e intimista rispetto alla pur notevole interpretazione dello chansonnier francese. D'altronde, il testo di Che cosa resta - che è su per giù lo stesso di Que reste-t-il de nos amours? - parla, con indicibile nostalgia, degli amori giovanili di un uomo che, ormai invecchiato, li enumera e li rievoca seduto davanti al suo caminetto quasi spento (simbolo di una vita già trascorsa). Cosa resta di tutti quegli amori così intensi, passionali, emozionanti e anche sinceri? Quasi nulla: una foto ingiallita e qualche sparuto biglietto. L'uomo riesce ancora a ricordare i volti ed i nomi di quelle donne che amò in un passato lontano, ma non rammenta più il periodo e il modo in cui nacquero quelle passioni amorose. C'è quindi una sensazione di estrema tristezza, perché l'uomo sa bene che quel periodo così lontano e così esaltante della sua vita non tornerà mai più. E allora continua a pensare a quegli amori, ai luoghi e perfino alle musiche di quel tempo favoloso, inceneritosi come la legna nel caminetto, poiché il ricordo è l'unica consolazione che gli rimane. Di seguito riporto il testo della canzone, tradotto da Gesualdo Bufalino. 




QUE-RESTE-T-IL DE NOS AMOURS (CHARLES TRENET)


Chissà cosa mormora il vento

stasera con il suo lamento

dietro la porta laggiù.

Di già il caminetto s’é spento

io chiudo gli occhi e rammento

gli amori di gioventù.


      Di voi che resta, antichi amori,

      giorni di festa, teneri ardori?

      Solo una mesta foto ingiallita 

      fra le mie dita...

      Di voi che resta, sguardi innocenti,

      lacrime, risa e giuramenti?

      Solo, sepolto in un cassetto 

      qualche biglietto...

      Sere d’aprile, sogni incantati,

      capelli al vento, baci rubati,

      che resta dunque di tutto ciò? 

      Ditemi un po'...

      Rivedo un viso, mormoro un nome,

      ma non ricordo quando né come...

      penso a un villaggio dove non so 

      se tornerò.


Mai più mano con mano nel buio,

stupiti di essere due, 

felici senza perché...

Mai più fiori nascosti in un libro,

il cui profumo c'inebria 

ma presto evapora, ahimè!...


      Di voi che resta, antichi amori,

      grandi segreti, complici cuori?

      solo nel petto male guarita 

      una ferita...

      Di voi che resta, parole audaci, 

      carezze caste, timide braci?

      solo una cenere che più non fuma 

      ma si consuma...


Chiari di luna, dolci sentieri 

e tu perduta anima d'ieri,

perché sparisti, chi ti rubò? 

Dimmelo un po'...

Solo un motivo risento ancora 

d’un fuggitivo disco d’allora

e a un luogo penso, dove non so 

se tornerò.


(da: Gesualdo Bufalino, "L'amaro miele", Einaudi, Torino 2021, pp. 125-126)

lunedì 9 ottobre 2023

"La guerra di Piero"

 Più passano gli anni, e più le guerre nel mondo aumentano di numero. Alcune sono guerre particolarmente insidiose, e si stanno svolgendo in luoghi non lontani dalla nostra nazione. Più personaggi illustri, provenienti da diversi mondi (religiosi, politici, intellettuali, artisti) si raccomandano vivamente affinché cessino i combattimenti al più presto, più le uccisioni e le violenze di ogni tipo si moltiplicano. L'uomo non cambia: non è capace di vivere pacificamente, e troverà sempre il modo di odiare e di trasmettere l'odio che prova ad altri simili. Le guerre non finiranno mai, su questo non ci sono dubbi; se c'è una domanda plausibile, è: cosa succederà quando qualcuno deciderà di usare un'arma nucleare? Questo ce lo possiamo immaginare, perché un pericolo simile esisteva già dopo la fine della 2° Guerra Mondiale. Ma a proposito di guerra, a me sono sempre piaciute moltissimo le canzoni che la ripudiavano e che inneggiavano alla pace. Di recenti ne conosco pochissime, ma ricordo la prima in assoluto che mi colpì profondamente, quando ero un adolescente; è La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè. Nelle parole di questa canzone si racconta la triste storia di un certo Piero: un uomo pacifico, che vive in un luogo non lontano dal fronte di guerra (tant'è che vede, nel torrente che si trova a breve distanza dalla sua abitazione, i cadaveri dei soldati trascinati lì dalla corrente); un giorno anche Piero viene chiamato alle armi e deve partire per il fronte. Un giorno di maggio, mentre Piero sta varcando la frontiera, si accorge che non lontano da lui c'è un soldato nemico; il primo istinto sarebbe quello di sparargli, ma Piero non riesce a farlo, pensando che quell'uomo è molto simile a lui, ha soltanto una divisa militare differente, che lo fa considerare "nemico"; tale indugio gli costa carissimo, perché quel soldato, accortosi della presenza di Piero, gli spara immediatamente e lo colpisce a morte. Piero cade in terra e si accorge subito che sta per morire; ha solo il tempo per pensare al suo triste destino e a Ninetta, la sua donna che lo aspetta a casa. Il corpo esanime di Piero viene sepolto da qualche anima buona in un campo di grano e, probabilmente, risulterà per sempre tra i dispersi dell'ennesima guerra in cui perirono, senza un motivo giustificabile, migliaia di soldati. De Andrè, in un'intervista di tanti anni fa, disse di aver scritto questa canzone perché rimase impressionato da alcuni racconti fattigli dallo zio, che aveva partecipato ad una guerra. In un'altra intervista televisiva di qualche decennio fa, che vidi in uno dei canali della Rai, il cantautore ligure disse che le sue canzoni contro la guerra non furono molto utili, pur sensibilizzando delle anime buone che le ascoltarono. Apparentemente, tutto ciò che si dice, si scrive, si mette in musica o in immagini per far capire che le guerre sono nefaste e non portano nulla di buono, sembra inutile; eppure io sono convinto che - al di là dell'utilità - qualsiasi opera artistica, didattica o giornalistica finalizzata al bene dell'umanità, e in grado di raggiungere un certo numero di pubblico, vale la pena che sia portata a compimento.






LA GUERRA DI PIERO

(F. De Andrè)


Dormi sepolto in un campo di grano

Non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi

Ma son mille papaveri rossi


Lungo le sponde del mio torrente

Voglio che scendano i lucci argentati

Non più i cadaveri dei soldati

Portati in braccio dalla corrente


Così dicevi ed era d'inverno

E come gli altri verso l'inferno

Te ne vai triste come chi deve

Il vento ti sputa in faccia la neve


Fermati Piero, fermati adesso

Lascia che il vento ti passi un po' addosso

Dei morti in battaglia ti porti la voce

Chi diede la vita ebbe in cambio una croce


Ma tu non lo udisti e il tempo passava

Con le stagioni a passo di giava

Ed arrivasti a varcar la frontiera

In un bel giorno di primavera


E mentre marciavi con l'anima in spalle

Vedesti un uomo in fondo alla valle

Che aveva il tuo stesso identico umore

Ma la divisa di un altro colore


Sparagli Piero, sparagli ora

E dopo un colpo sparagli ancora

Fino a che tu non lo vedrai esangue

Cadere in terra a coprire il suo sangue


E se gli sparo in fronte o nel cuore

Soltanto il tempo avrà per morire

Ma il tempo a me resterà per vedere

Vedere gli occhi di un uomo che muore


E mentre gli usi questa premura

Quello si volta, ti vede e ha paura

Ed imbracciata l'artiglieria

Non ti ricambia la cortesia


Cadesti a terra senza un lamento

E ti accorgesti in un solo momento

Che il tempo non ti sarebbe bastato

A chiedere perdono per ogni peccato


Cadesti a terra senza un lamento

E ti accorgesti in un solo momento

Che la tua vita finiva quel giorno

E non ci sarebbe stato un ritorno


Ninetta mia, a crepare di maggio

Ci vuole tanto, troppo coraggio

Ninetta bella, dritto all'inferno

Avrei preferito andarci in inverno


E mentre il grano ti stava a sentire

Dentro alle mani stringevi il fucile

Dentro alla bocca stringevi parole

Troppo gelate per sciogliersi al sole


Dormi sepolto in un campo di grano

Non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi

Ma sono mille papaveri rossi

giovedì 5 ottobre 2023

"Tu parlavi una lingua meravigliosa"

 Di collaborazioni tra musicisti e poeti, nella storia dell'umanità, ve ne sono a bizzeffe. In minor misura se ne ricordano tra cantanti di musica pop e poeti; concentrandosi sulla sola nazione italiana, da quel che so, ci sono state, a partire dalla fine degli anni '50 del XX secolo, collaborazioni saltuarie, a volte occasionali tra scrittori e cantanti affermati; tra i primi, che scrissero dei testi appositamente per quel determinato genere musicale, potrei citare Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino; tra i secondi, che di loro iniziativa o tramite richieste esterne, musicarono dei componimenti poetici, ricordo Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti e Angelo Branduardi. Ma la collaborazione che a me ancora sembra, dopo ben cinquant'anni, la migliore in assoluto, è quella tra il poeta Roberto Roversi e il cantautore Lucio Dalla (entrambi emiliani). Il sodalizio iniziò nel 1973, con la pubblicazione dell'album Il giorno aveva cinque teste; proseguì con i dischi Anidride solforosa (1975) e Automobili (1976). Tale collaborazione, memorabile per la qualità delle canzoni, non ebbe buoni risultati commerciali. 

Ora mi vorrei soffermare un po' su una delle più belle canzoni nate dall'estro del duo Roversi-Dalla: Tu parlavi una lingua meravigliosa. 5° e ultima traccia del lato A dell'album Anidride solforosa, questo brano musicale possiede dei requisiti rari, se ci si riferisce al mondo delle canzonette. Il testo di Roberto Roversi parla di un incontro casuale, avvenuto in una stazione ferroviaria, tra due persone che non si vedevano più da tanto tempo. Un uomo, in un giorno grigio di ottobre, si trova in una stazione in attesa di un treno; dopo essersi guardato intorno, apre un giornale e comincia a leggere fino a quando non sente, poco lontana da lui, una voce femminile conosciuta, sebbene un po' più roca; è quella di una donna non più giovane, che ora ha i capelli tinti, e che l'uomo ricorda bene, perché in un passato non ben precisato ha avuto una relazione amorosa con lei. L'uomo non dà importanza agli evidenti segni dell'età sul viso della donna, e avrebbe voglia di parlarle, anche per ricordare i vecchi tempi; ma la donna neppure lo guarda, fingendo di non riconoscerlo. Alla fine l'uomo, con "l'inferno nel cuore" sale sul suo treno e si allontana definitivamente da quella donna che nell'inconscio non aveva mai dimenticato, e che vede svanire come in un sogno. Da rimarcare anche l'ottima interpretazione di Lucio Dalla, che intuì alla perfezione l'intensità dei sentimenti racchiusi nel testo di Roversi, e seppe trasmetterli da par suo agli ascoltatori.





TU PARLAVI UNA LIGUA MERAVIGLIOSA

(L. Dalla - R. Roversi)


I sassi della stazione sono di ruggine nera

Sto sotto la pensilina dove sventola adagio una bandiera

In un campo una donna si china su due agnelli appena nati

Striscia il vento nudo sopra il fuoco, il fuoco violento dei prati


Un uccello, isolato, raccoglie sopra un vagone abbandonato

Il cielo grande di ottobre e gli strappa il fianco bianco e gelato

Intorno, dopo la notte, ci sono tronchi sporchi di mosto

E mille macchine in fila, laggiù, in un deposito nascosto


Apro il giornale e provo a leggere per nascondermi un poco

Mentre lei parla ad un uomo e io riconosco il suo suono un poco roco

Chiudo il giornale, la guardo, lei è voltata, non mi vede

I capelli sono biondi e sono tinti, dunque lei alla vita non cede


Vuoi guardarmi? Occhio della mente, occhio della memoria

Una donna è vecchia quando non ha più giovinezza

Ascolto la marea del cuore perché siamo vicini

L'ho ritrovata per caso, ma non è più una ragazza


Vorrei chiamarla, dirle, le volpi con le code incendiate

Non parlano, ma gridano pazze fra gli alberi per il dolore

Sediamoci per terra oppure là, sopra panchine imbiancate

Sediamoci sopra un letto di foglie secche e ascoltiamo il nostro cuore


Ci siamo scordati e perduti, ti ritrovo adesso all'improvviso

Dentro una piccola stazione, in un giorno grigio d'ottobre

Tu non mi guardi neppure, io solo ho l'inferno nel cuore

Perché la vita è una goccia che scava la pietra del viso


Ogni mattina, ogni sera, io parto e ritorno da solo

Come il ragazzo che ero, non posso più bruciare in un volo

Il treno arriva, si ferma, la mia ombra sale, parte, scompare

Io ti vedo giovane ancora, come in un sogno dileguare