martedì 10 ottobre 2023

"Che cosa resta"

 Che cosa resta è il titolo di una canzone di Franco Battiato (Ionia, 23 marzo 1945 – Milo, 18 maggio 2021), pubblicata come 9° traccia dell'album Fleurs (1999): una delle opere più belle del cantautore siciliano. Che cosa resta è una cover del celebre brano musicale francese Que reste-t-il de nos amours?, interpretata a partire dal 1942 dall'indimenticabile Charles Trenet (1913-2001), che ne è anche l'autore insieme a Léo Chauliac (1913-1977). Battiato, avvalendosi del testo già tradotto ottimamente dal poeta Gesualdo Bufalino (1920-1996) - il quale lo aveva inserito nel volume di versi L'amaro miele (dalla 3° edizione del 1996) - ne fece una versione personale, più malinconica e intimista rispetto alla pur notevole interpretazione dello chansonnier francese. D'altronde, il testo di Che cosa resta - che è su per giù lo stesso di Que reste-t-il de nos amours? - parla, con indicibile nostalgia, degli amori giovanili di un uomo che, ormai invecchiato, li enumera e li rievoca seduto davanti al suo caminetto quasi spento (simbolo di una vita già trascorsa). Cosa resta di tutti quegli amori così intensi, passionali, emozionanti e anche sinceri? Quasi nulla: una foto ingiallita e qualche sparuto biglietto. L'uomo riesce ancora a ricordare i volti ed i nomi di quelle donne che amò in un passato lontano, ma non rammenta più il periodo e il modo in cui nacquero quelle passioni amorose. C'è quindi una sensazione di estrema tristezza, perché l'uomo sa bene che quel periodo così lontano e così esaltante della sua vita non tornerà mai più. E allora continua a pensare a quegli amori, ai luoghi e perfino alle musiche di quel tempo favoloso, inceneritosi come la legna nel caminetto, poiché il ricordo è l'unica consolazione che gli rimane. Di seguito riporto il testo della canzone, tradotto da Gesualdo Bufalino. 




QUE-RESTE-T-IL DE NOS AMOURS (CHARLES TRENET)


Chissà cosa mormora il vento

stasera con il suo lamento

dietro la porta laggiù.

Di già il caminetto s’é spento

io chiudo gli occhi e rammento

gli amori di gioventù.


      Di voi che resta, antichi amori,

      giorni di festa, teneri ardori?

      Solo una mesta foto ingiallita 

      fra le mie dita...

      Di voi che resta, sguardi innocenti,

      lacrime, risa e giuramenti?

      Solo, sepolto in un cassetto 

      qualche biglietto...

      Sere d’aprile, sogni incantati,

      capelli al vento, baci rubati,

      che resta dunque di tutto ciò? 

      Ditemi un po'...

      Rivedo un viso, mormoro un nome,

      ma non ricordo quando né come...

      penso a un villaggio dove non so 

      se tornerò.


Mai più mano con mano nel buio,

stupiti di essere due, 

felici senza perché...

Mai più fiori nascosti in un libro,

il cui profumo c'inebria 

ma presto evapora, ahimè!...


      Di voi che resta, antichi amori,

      grandi segreti, complici cuori?

      solo nel petto male guarita 

      una ferita...

      Di voi che resta, parole audaci, 

      carezze caste, timide braci?

      solo una cenere che più non fuma 

      ma si consuma...


Chiari di luna, dolci sentieri 

e tu perduta anima d'ieri,

perché sparisti, chi ti rubò? 

Dimmelo un po'...

Solo un motivo risento ancora 

d’un fuggitivo disco d’allora

e a un luogo penso, dove non so 

se tornerò.


(da: Gesualdo Bufalino, "L'amaro miele", Einaudi, Torino 2021, pp. 125-126)

lunedì 9 ottobre 2023

"La guerra di Piero"

 Più passano gli anni, e più le guerre nel mondo aumentano di numero. Alcune sono guerre particolarmente insidiose, e si stanno svolgendo in luoghi non lontani dalla nostra nazione. Più personaggi illustri, provenienti da diversi mondi (religiosi, politici, intellettuali, artisti) si raccomandano vivamente affinché cessino i combattimenti al più presto, più le uccisioni e le violenze di ogni tipo si moltiplicano. L'uomo non cambia: non è capace di vivere pacificamente, e troverà sempre il modo di odiare e di trasmettere l'odio che prova ad altri simili. Le guerre non finiranno mai, su questo non ci sono dubbi; se c'è una domanda plausibile, è: cosa succederà quando qualcuno deciderà di usare un'arma nucleare? Questo ce lo possiamo immaginare, perché un pericolo simile esisteva già dopo la fine della 2° Guerra Mondiale. Ma a proposito di guerra, a me sono sempre piaciute moltissimo le canzoni che la ripudiavano e che inneggiavano alla pace. Di recenti ne conosco pochissime, ma ricordo la prima in assoluto che mi colpì profondamente, quando ero un adolescente; è La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè. Nelle parole di questa canzone si racconta la triste storia di un certo Piero: un uomo pacifico, che vive in un luogo non lontano dal fronte di guerra (tant'è che vede, nel torrente che si trova a breve distanza dalla sua abitazione, i cadaveri dei soldati trascinati lì dalla corrente); un giorno anche Piero viene chiamato alle armi e deve partire per il fronte. Un giorno di maggio, mentre Piero sta varcando la frontiera, si accorge che non lontano da lui c'è un soldato nemico; il primo istinto sarebbe quello di sparargli, ma Piero non riesce a farlo, pensando che quell'uomo è molto simile a lui, ha soltanto una divisa militare differente, che lo fa considerare "nemico"; tale indugio gli costa carissimo, perché quel soldato, accortosi della presenza di Piero, gli spara immediatamente e lo colpisce a morte. Piero cade in terra e si accorge subito che sta per morire; ha solo il tempo per pensare al suo triste destino e a Ninetta, la sua donna che lo aspetta a casa. Il corpo esanime di Piero viene sepolto da qualche anima buona in un campo di grano e, probabilmente, risulterà per sempre tra i dispersi dell'ennesima guerra in cui perirono, senza un motivo giustificabile, migliaia di soldati. De Andrè, in un'intervista di tanti anni fa, disse di aver scritto questa canzone perché rimase impressionato da alcuni racconti fattigli dallo zio, che aveva partecipato ad una guerra. In un'altra intervista televisiva di qualche decennio fa, che vidi in uno dei canali della Rai, il cantautore ligure disse che le sue canzoni contro la guerra non furono molto utili, pur sensibilizzando delle anime buone che le ascoltarono. Apparentemente, tutto ciò che si dice, si scrive, si mette in musica o in immagini per far capire che le guerre sono nefaste e non portano nulla di buono, sembra inutile; eppure io sono convinto che - al di là dell'utilità - qualsiasi opera artistica, didattica o giornalistica finalizzata al bene dell'umanità, e in grado di raggiungere un certo numero di pubblico, vale la pena che sia portata a compimento.






LA GUERRA DI PIERO

(F. De Andrè)


Dormi sepolto in un campo di grano

Non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi

Ma son mille papaveri rossi


Lungo le sponde del mio torrente

Voglio che scendano i lucci argentati

Non più i cadaveri dei soldati

Portati in braccio dalla corrente


Così dicevi ed era d'inverno

E come gli altri verso l'inferno

Te ne vai triste come chi deve

Il vento ti sputa in faccia la neve


Fermati Piero, fermati adesso

Lascia che il vento ti passi un po' addosso

Dei morti in battaglia ti porti la voce

Chi diede la vita ebbe in cambio una croce


Ma tu non lo udisti e il tempo passava

Con le stagioni a passo di giava

Ed arrivasti a varcar la frontiera

In un bel giorno di primavera


E mentre marciavi con l'anima in spalle

Vedesti un uomo in fondo alla valle

Che aveva il tuo stesso identico umore

Ma la divisa di un altro colore


Sparagli Piero, sparagli ora

E dopo un colpo sparagli ancora

Fino a che tu non lo vedrai esangue

Cadere in terra a coprire il suo sangue


E se gli sparo in fronte o nel cuore

Soltanto il tempo avrà per morire

Ma il tempo a me resterà per vedere

Vedere gli occhi di un uomo che muore


E mentre gli usi questa premura

Quello si volta, ti vede e ha paura

Ed imbracciata l'artiglieria

Non ti ricambia la cortesia


Cadesti a terra senza un lamento

E ti accorgesti in un solo momento

Che il tempo non ti sarebbe bastato

A chiedere perdono per ogni peccato


Cadesti a terra senza un lamento

E ti accorgesti in un solo momento

Che la tua vita finiva quel giorno

E non ci sarebbe stato un ritorno


Ninetta mia, a crepare di maggio

Ci vuole tanto, troppo coraggio

Ninetta bella, dritto all'inferno

Avrei preferito andarci in inverno


E mentre il grano ti stava a sentire

Dentro alle mani stringevi il fucile

Dentro alla bocca stringevi parole

Troppo gelate per sciogliersi al sole


Dormi sepolto in un campo di grano

Non è la rosa, non è il tulipano

Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi

Ma sono mille papaveri rossi

giovedì 5 ottobre 2023

"Tu parlavi una lingua meravigliosa"

 Di collaborazioni tra musicisti e poeti, nella storia dell'umanità, ve ne sono a bizzeffe. In minor misura se ne ricordano tra cantanti di musica pop e poeti; concentrandosi sulla sola nazione italiana, da quel che so, ci sono state, a partire dalla fine degli anni '50 del XX secolo, collaborazioni saltuarie, a volte occasionali tra scrittori e cantanti affermati; tra i primi, che scrissero dei testi appositamente per quel determinato genere musicale, potrei citare Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino; tra i secondi, che di loro iniziativa o tramite richieste esterne, musicarono dei componimenti poetici, ricordo Domenico Modugno, Sergio Endrigo, Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti e Angelo Branduardi. Ma la collaborazione che a me ancora sembra, dopo ben cinquant'anni, la migliore in assoluto, è quella tra il poeta Roberto Roversi e il cantautore Lucio Dalla (entrambi emiliani). Il sodalizio iniziò nel 1973, con la pubblicazione dell'album Il giorno aveva cinque teste; proseguì con i dischi Anidride solforosa (1975) e Automobili (1976). Tale collaborazione, memorabile per la qualità delle canzoni, non ebbe buoni risultati commerciali. 

Ora mi vorrei soffermare un po' su una delle più belle canzoni nate dall'estro del duo Roversi-Dalla: Tu parlavi una lingua meravigliosa. 5° e ultima traccia del lato A dell'album Anidride solforosa, questo brano musicale possiede dei requisiti rari, se ci si riferisce al mondo delle canzonette. Il testo di Roberto Roversi parla di un incontro casuale, avvenuto in una stazione ferroviaria, tra due persone che non si vedevano più da tanto tempo. Un uomo, in un giorno grigio di ottobre, si trova in una stazione in attesa di un treno; dopo essersi guardato intorno, apre un giornale e comincia a leggere fino a quando non sente, poco lontana da lui, una voce femminile conosciuta, sebbene un po' più roca; è quella di una donna non più giovane, che ora ha i capelli tinti, e che l'uomo ricorda bene, perché in un passato non ben precisato ha avuto una relazione amorosa con lei. L'uomo non dà importanza agli evidenti segni dell'età sul viso della donna, e avrebbe voglia di parlarle, anche per ricordare i vecchi tempi; ma la donna neppure lo guarda, fingendo di non riconoscerlo. Alla fine l'uomo, con "l'inferno nel cuore" sale sul suo treno e si allontana definitivamente da quella donna che nell'inconscio non aveva mai dimenticato, e che vede svanire come in un sogno. Da rimarcare anche l'ottima interpretazione di Lucio Dalla, che intuì alla perfezione l'intensità dei sentimenti racchiusi nel testo di Roversi, e seppe trasmetterli da par suo agli ascoltatori.





TU PARLAVI UNA LIGUA MERAVIGLIOSA

(L. Dalla - R. Roversi)


I sassi della stazione sono di ruggine nera

Sto sotto la pensilina dove sventola adagio una bandiera

In un campo una donna si china su due agnelli appena nati

Striscia il vento nudo sopra il fuoco, il fuoco violento dei prati


Un uccello, isolato, raccoglie sopra un vagone abbandonato

Il cielo grande di ottobre e gli strappa il fianco bianco e gelato

Intorno, dopo la notte, ci sono tronchi sporchi di mosto

E mille macchine in fila, laggiù, in un deposito nascosto


Apro il giornale e provo a leggere per nascondermi un poco

Mentre lei parla ad un uomo e io riconosco il suo suono un poco roco

Chiudo il giornale, la guardo, lei è voltata, non mi vede

I capelli sono biondi e sono tinti, dunque lei alla vita non cede


Vuoi guardarmi? Occhio della mente, occhio della memoria

Una donna è vecchia quando non ha più giovinezza

Ascolto la marea del cuore perché siamo vicini

L'ho ritrovata per caso, ma non è più una ragazza


Vorrei chiamarla, dirle, le volpi con le code incendiate

Non parlano, ma gridano pazze fra gli alberi per il dolore

Sediamoci per terra oppure là, sopra panchine imbiancate

Sediamoci sopra un letto di foglie secche e ascoltiamo il nostro cuore


Ci siamo scordati e perduti, ti ritrovo adesso all'improvviso

Dentro una piccola stazione, in un giorno grigio d'ottobre

Tu non mi guardi neppure, io solo ho l'inferno nel cuore

Perché la vita è una goccia che scava la pietra del viso


Ogni mattina, ogni sera, io parto e ritorno da solo

Come il ragazzo che ero, non posso più bruciare in un volo

Il treno arriva, si ferma, la mia ombra sale, parte, scompare

Io ti vedo giovane ancora, come in un sogno dileguare

venerdì 29 settembre 2023

"29 settembre"

 La canzone 29 settembre fece la sua prima comparsa nei negozi italiani di dischi, verso la fine dell'inverno del 1967. Scritto da Lucio Battisti (musica) e Mogol (parole), il brano musicale fu interpretato dal gruppo musicale Equipe 84. Nel disco a 45 giri che nel marzo del 1967 raggiunse il primo posto della Hit Parade italiana, 29 settembre occupava il lato A. Lo stesso Battisti, che in quel preciso anno ancora non era conosciutissimo, lo interpretò a sua volta, inserendolo nel suo primo LP: Lucio Battisti del 1969. Il testo parla di un tradimento. Un uomo che ha già una relazione con una donna assente, quasi per caso, in un giorno di fine settembre conosce una ragazza mentre sosta in un bar; i due entrano subito in sintonia e decidono di conoscersi meglio trascorrendo l'intera giornata e la serata insieme. La mattina dopo, lo stesso uomo si sveglia da solo, ed immediatamente pensa alla sua donna, per la quale, malgrado ciò che è successo il giorno prima, prova i medesimi sentimenti; si dirige verso il telefono e la chiama, per dichiarargli nuovamente il suo amore. Si tratta, insomma, di un testo fortemente innovativo, considerando l'anno in cui fu scritto (probabilmente durante l'autunno del 1966), e che anticipa di molto la cosiddetta "rivoluzione sessuale": uno degli obiettivi che intendevano portare a termine gli studenti europei che fecero parte della famosa contestazione iniziata nel 1968. Anche la musica di Battisti ha delle caratteristiche che la rendono insolita, almeno in Italia; 29 settembre oggi è considerato da molti critici musicali, primo brano nazionale appartenente al genere "beat-rock psichedelico"; rimase in testa alla classifica dei 45 giri più venduti in Italia per ben cinque settimane, e, alla fine del 1967, occupò il 13° posto dei dischi più venduti dell'anno. Ecco infine il testo che si rifà all'interpretazione dell'Equipe 84.


29 SETTEMBRE

(L. Battisti - Mogol)


Seduto in quel caffè io non pensavo a te (Giornale radio: ieri 29 settembre)

Guardavo il mondo che girava intorno a me (In tal modo, nella ricorrenza del 29 settembre)

Poi d'improvviso lei sorrise

E ancora prima di capire

Mi trovai sotto braccio a lei

Stretto come se non ci fosse che lei


Vedevo solo lei

E non pensavo a te


E tutta la città

Correva incontro a noi


Il buio ci trovò vicini

Un ristorante e poi di corsa

A ballar sotto braccio a lei

Stretto verso casa abbracciato a lei

Quasi come se non ci fosse che lei

Come se non ci fosse che lei


Quasi come se non ci fosse che

Quasi come se non ci fosse che lei


Mi son svegliato e, e sto pensando a te

Ricordo solo che, che ieri non eri con me

Il sole ha cancellato tutto

Di colpo volo giù dal letto

E corro lì al telefono

E parlo rido e tu, tu non sai perché


T'amo, t'amo e tu, tu non sai perché

Parlo, rido e tu, tu non sai perché

T'amo, t'amo e tu, tu non sai perché

Parlo, rido e tu, tu non sai perché

Parlo, rido e tu, tu non sai perché

T'amo...

domenica 24 settembre 2023

24 settembre 1959: nasce lo "Zecchino d'oro"

 Il 24 settembre del 1959, la Rai Radiotelevisione Italiana mandò in onda la 1° edizione dello Zecchino d'oro; conosciuto anche come Festival Internazionale della canzone del bambino, il programma televisivo, ideato da Cino Tortorella (soprannominato Mago Zurlì, 1927-2017) e da Niny Comolli (prima musicista donna a far parte dell'Orchestra della Rai, 1915-2010) fu trasmesso dal Teatro dell'Arte di Milano; alla competizione canora parteciparono 10 brani musicali; tra questi, c'era anche Lettera a Pinocchio, che qualche anno dopo fu interpretata con successo da Johnny Dorelli. Lo Zecchino d'oro piacque moltissimo ai telespettatori italiani, e continuò ad essere trasmesso tutti gli anni, fino ai giorni nostri. A partire dalla 3° edizione, il Festival si svolse nel Cinema Teatro "Antoniano" di Bologna; dal 1963, entrò a far parte dell'evento televisivo anche l'indimenticata Mariele Ventre (1939-1995), che aveva le funzioni d'insegnare le canzoni ai bambini partecipanti, e di dirigere il Piccolo Coro dell'Antoniano. In ricordo di quella 1° edizione, ecco il testo di Lettera a Pinocchio, scritto dal compositore e paroliere Mario Panzeri (1911-1991)


LETTERA A PINOCCHIO

(M. Panzeri)


Ho tanto desiderio questa sera

Di scrivere una lettera a qualcuno

E tra gli amici della primavera

Al mio più caro amico scriverò


Carissimo Pinocchio

Amico dei giorni più lieti

Di tutti i miei segreti

Che confidavo a te


Carissimo Pinocchio,

Ricordi quand'ero bambino?

Nel bianco mio lettino

Ti sfogliai, ti parlai, ti sognai


Dove sei? Ti vorrei veder

Del tuo mondo vorrei saper

Forse Babbo Geppetto è con te

Dov'è il Gatto che t'ingannò

Il buon Grillo che ti parlò

E la Fata Turchina dov'è?


Carissimo Pinocchio

Amico dei sogni più lieti

Con tutti i miei segreti

Resti ancor nel mio cuor come allor

Resti ancor nel mio cuor come allor


Dove sei? Ti vorrei veder

Del tuo mondo vorrei saper

Forse Babbo Geppetto è con te

Dov'è il Gatto che t'ingannò

Il buon Grillo che ti parlò

E la Fata Turchina dov'è?


Carissimo Pinocchio,

Amico dei giorni più lieti

Con tutti i miei segreti

Resti ancor nel mio cuor come allor

venerdì 22 settembre 2023

"La voglia di sognare" di Ornella Vanoni

 Il 22 settembre del 1934, nacque a Milano Ornella Vanoni: una delle migliori cantanti italiane, interpretò con ottimi risultati brani musicali di cantautori italiani come Gino Paoli e Luigi Tenco. La sua carriera artistica cominciò a metà degli anni '50 del XX secolo; a quei tempi la Vanoni si fece conoscere grazie ad alcune personalissime interpretazioni delle cosiddette "Canzoni della mala". Il successo a livello nazionale gli arrise dai primissimi anni '60; numerose le sue partecipazioni al Festival di Sanremo, così come ad alte prestigiose manifestazioni canore. Tra le sue canzoni più belle, ricordo "Senza fine" (1961), "La musica è finita" (1967), "L'appuntamento" (1970) e "Domani è un altro giorno" (1971). Il pezzo che oggi preferisco, tra i moltissimi che pubblicò, s'intitola "La voglia di sognare"; uscito nel 1974, prima in versione 45 giri, poi come prima traccia dell'album omonimo, fu scritto da Carla Vistarini (parole) e Luigi Lopez (musica). Il testo parla di una donna che ricorda con accenti malinconici e sognanti, tutte le tappe di un amore intenso, che sembrava destinato a durare, e che invece, col tempo si è affievolito. Per questo motivo la donna si rivolge al suo compagno, invitandolo, grazie ai ricordi più belli, a ritrovare quegli entusiasmi perduti che erano alla base del loro rapporto. L'eccezionalità dell'interpretazione della Vanoni, a mio parere, risiede nella sua capacità d'immedesimarsi nella vicenda, trattata in modo così intenso da sembrare che la riguardi personalmente. La malinconia che si respira ascoltandola, ha dei toni veramente strazianti.


LA VOGLIA DI SOGNARE

(C. Vistarini - L. Lopez)


Ti ricordi il primo giorno che ci siamo conosciuti?

Eri strano, emozionato

Quanto tempo è già passato!

Mi piaceva il tuo coraggio, la pazienza del tuo amore

E con te mi son trovata bene a vivere e a pensare


E d'inverno quante sere siamo stati ad inventare

Per il figlio che volevi

Un nome grande

Era bello andare avanti

Con niente, ma insieme


E la voglia di sognare è difficile a passare

Anche dopo tanto tempo io ti vedo come allora

Un po' allegro e un po' scontento

Un po' tenero e violento

Di parole mica tante ma io non me ne lamento


È la voglia di sognare che ci fa dimenticare

Una vita fatta solo di giornate ad aspettare

Un minuto dopo l'altro, perduti, ma insieme


È con te che voglio stare

Della vita mi accontento

E mi sembra di aver tutto

Solo avendoti qui accanto


È la voglia di sognare che ci fa dimenticare

Una vita fatta solo di giornate ad aspettare

Un minuto dopo l'altro, perduti, ma insieme


Se non puoi dimenticare

Quell'età del nostro amore

Quando per portarmi un fiore

Ti scordavi di mangiare

È la voglia di sognare

È la voglia di sognare

È la voglia di sognare




mercoledì 20 settembre 2023

Hit Parade (Top Ten) dei dischi a 45 giri del 21 settembre 1974

 Guardando la Hit Parade italiana dei 45 giri di 49 anni fa, salta all'occhio il fatto che tra i primi 10 non ve n'era uno proveniente dall'estero: dominavano gli italiani, fossero cantautori, complessi o semplici solisti. Ovviamente le canzoni che ancora primeggiavano nelle classifiche erano quelle dell'estate che stava per concludersi. Il trionfatore della stagione estiva del '74 fu Claudio Baglioni, con la bellissima ...E tu, seguito da Drupi, con Piccola e fragile; grandi soddisfazioni ebbero anche Marcella e Gianni Bella, Umberto Balsamo e Patty Pravo; stesso discorso per due complessi: i Cugini di campagna e gli Alunni del sole. Riccardo Cocciante invece, proprio allora si affacciava nella "Top Ten", e, con la sua celebre Bella senz'anima, avrebbe spodestato dal trono Baglioni alla fine di ottobre del medesimo anno.



Hit Parade italiana dei dischi a 45 giri più venduti del 21 settembre 1974


1.  ...E tu - Claudio Baglioni

2.  Innamorata - I cugini di campagna

3.  Più ci penso - Gianni Bella

4.  Nessuno mai - Marcella

5.  Piccola e fragile - Drupi

6.  Bugiardi noi - Umberto Balsamo

7.  Soleado - Daniel Santacruz ensemble

8.  Jenny - Gli alunni del sole

9.  Bella senz'anima -Riccardo Cocciante

10. Come un Pierrot - Patty Pravo

domenica 3 settembre 2023

"L'ultimo romantico" di Pino Donaggio

 

L’ultimo romantico è il titolo di una canzone interpretata dal cantautore Pino Donaggio, che partecipò alla 21° edizione del Festival di Sanremo, tenutasi nel 1971. Brano musicale realizzato dallo stesso Donaggio e, per il testo, da Vito Pallavicini, oltre ad uscire in versione 45 giri, diede il titolo all’album, pubblicato dalla casa discografica Carosello, sempre nel 1971, che comprendeva altre 11 canzoni del cantautore veneto. Con L’ultimo romantico Donaggio raggiunse, a mio parere, uno degli apici della sua carriera da solista nel settore della musica pop. Pezzo decisamente accattivante, sia per la musica, che presenta un’introduzione notevole, grazie al violino che lo stesso cantante utilizza, e sia per il testo, in cui un uomo si dichiara addirittura quale “ultimo romantico” (una sorta di razza in estinzione, parafrasando una canzone di Giorgio Gaber). Il motivo risiede nel fatto che, questa canzone, fu scritta pochi anni dopo 1968: anno fatidico che fa da spartiacque tra due decenni che mostrano una notevole differenza tra di loro, e che coincidono, più o meno, con gli anni ‘60 e gli anni ’70 del XX secolo. In un periodo in cui sembrava che tutto stesse cambiando, e chi non si fosse adeguato a tali cambiamenti sarebbe stato praticamente escluso o marginalizzato, un uomo confessa la sua impossibilità di cambiare, e lo spiega col fatto inoppugnabile che, in natura, nulla muta. Una rosa, il mare, il cielo, così come tutti gli animali e tutte le piante non mostrano alcun cambiamento attraverso gli anni, come invece sono soliti fare gli esseri umani, i quali decidono, più o meno spontaneamente, di seguire le mode dei loro tempi. E, dice sempre “l’ultimo romantico”, se è vero che nella testa degli umani mutano le idee, i comportamenti e gli ideali, non muta né mai muterà il modo di amare, poiché l’amore è qualcosa a sé stante, non paragonabile ad altri sentimenti. In pratica, Donaggio con questa canzone si distanzia dai suoi colleghi che, proprio in quegli anni, avevano deciso di abbracciare le nuove tendenze – non solo artistiche – che si erano sviluppate a partire dal 1968. Non fu il solo a prendere questa decisione, visto che altri cantautori, più o meno della sua generazione (Gino Paoli, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi ed altri ancora), presero la sua stessa strada, continuando a cantare, soprattutto, canzoni d’amore. Fatto sta che, proprio in quegli anni, con l’avvento dei cosiddetti “cantautori politici”, Donaggio e non solo subì una sorta di marginalizzazione. Dopo una ulteriore partecipazione al Festival di Sanremo nell’anno successivo, il cantautore veneto si allontanò quasi definitivamente dal mondo della musica pop, per dedicarsi assiduamente alla stesura di colonne sonore filmiche, tra l’altro con ottimi risultati.

 

 

Pino Donaggio

 

L'ULTIMO ROMANTICO

(P. Donaggio - V. Pallavicini)

 

L'ultimo

Sono io l'ultimo romantico

Sono io quello che ti può donare un fiore

E capire da questo, dall'espressione del viso

Dal tremore di una mano se mi ami

 

L'ultimo

L'ultimo romantico di un mondo

Che si può commuovere guardando due colombi

Baciarsi su una piazza incuranti della gente

Che li può calpestare per la fretta d'arrivare

 

Perché se una rosa è una rosa

Da quando c'è il mondo io devo cambiare?

Perché se il mare, il cielo, il sole e il vento

Non cambiano mai?

 

Perché se l'amore è l'amore

Da quando c'è il mondo io devo cambiare?

Perché ci son già tante cose che stanno cambiando

L'amore non può?

 

L'ultimo

L'ultimo romantico di un mondo

Che si può commuovere guardando due ragazzi

Baciarsi su una piazza incuranti della gente

Come facciamo adesso, come facciamo noi due

 

Perché se una rosa è una rosa

Da quando c'è il mondo io devo cambiare?

Perché se il mare, il cielo, il sole e il vento

Non cambiano mai?

 

Perché se l'amore è l'amore

Da quando c'è il mondo io devo cambiare?

Perché ci son già tante cose che stanno cambiando

L'amore non può?