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venerdì 6 giugno 2025

"Il tempo passò"

 Tra le canzoni di Luigi Tenco ve ne sono alcune il cui testo è incentrato su amori di un passato recente o lontano; alcune tra queste, come Io sì e Lontano lontano, sono piuttosto famose; tra quelle meno conosciute, spicca Il tempo passò, principalmente per il testo, che è dello stesso Tenco, secondariamente per la musica scritta da Gianfranco Reverberi. A proposito del testo, devo dire che mi piacque molto e mi rimase impresso nella mente fin dal primo ascolto della canzone; è diviso in tre parti, che coincidono con i tre tempi musicali. Dalla prima strofa all'ultima si sottolinea il fatto che il tempo sia passato impietosamente, dal periodo dell'infanzia a quello della maturità; così vengono ricordati i giochi della fanciullezza e il periodo della scuola, entrambi legati alla infinita fantasia di chi li visse e sognò chissà quali avventure. Trascorsero anche gli anni dei giovani amori, legati a filo stretto con la segreta scrittura di lunghe poesie appassionate, dedicate ad una ragazza che mai le lesse, perché chi le creò era troppo timido per dargliele, e non riusciva neppure a fermare lo sguardo sul suo viso, senza abbassare gli occhi per l'imbarazzo. Infine trascorse anche il tempo della maturità, che vide la nascita di un vero e solido amore per una donna che sembrava la sola, l'unica da sposare e rimanervi per tutta la vita; ma, malgrado le promesse e le buone intenzioni, anche quell'amore che appariva interminabile, finì miseramente; così, l'uomo e la donna si lasciarono dicendosi appena qualche parola d'addio.

Il tempo passò comparve per la prima volta come 4° traccia del lato B del disco a 33 giri intitolato semplicemente Luigi Tenco, e pubblicato dalla Ricordi nel 1962. Il medesimo disco, con alcune modifiche, fu poi ripubblicato dopo molti anni col titolo cambiato in Ti ricorderai di me...; da quest'ultimo io ascoltai per la prima volta la canzone citata.



IL TEMPO PASSÒ

(L. Tenco - G. Reverberi)


Il tempo veloce passò

Su favole appena iniziate

Su giochi bambini

Finiti in castigo

Su grandi avventure

Sognate sui libri di scuola


Il tempo veloce passò

Su candidi giovani amori

Su lunghe poesie

Mai dette a nessuno

Su timidi sguardi

Su piccoli grandi segreti

E passò


Il tempo veloce passò

Sul volto dell'unica donna

Sul sogno di vivere

Insieme per sempre

Su grandi promesse

Su poche parole d'addio





venerdì 23 aprile 2021

5 canzoni nate da 5 lontani fatti di cronaca

 

Alcune canzoni del passato sono nate da fatti veri, spesso drammatici: assassini, disastri, scontri violenti ecc. Sono stati spesso dei cantautori, evidentemente più sensibili agli avvenimenti reali, che si sono occupati, in forma di canzone, di questi eventi che, quando sono accaduti, hanno impressionato, colpito e commosso la suscettibilità di innumerevoli persone per l'atrocità, la tragicità o la straordinarietà che essi rappresentavano. Il 9 ottobre del 1967 moriva ancora giovane in Bolivia "el Che", ovvero il rivoluzionario argentino Ernesto Guevara de la Serna più noto come Che Guevara, personaggio mitico, simbolo della rivoluzione marxista per tante generazioni della sinistra; ancora oggi la sua stella risplende per la straordinaria coerenza delle sue azioni e per l'idealismo puro che lo guidava. Non molti probabilmente conosceranno una canzone di Sergio Endrigo risalente al 1968 che fu retro di un 45 giri, il pezzo s'intitola Anch'io ti ricorderò e mette in luce il carattere politico poco noto del cantautore di Pola; ma la canzone è soprattutto un sincero tributo dedicato al rivoluzionario più famoso del mondo. Ecco una parte del testo: «Era mezzogiorno e tu non c'eri / un bambino piangeva nel silenzio / fuori c'era il sole e caldi odori / e parole antiche di soldati. / Oggi ti ricorda la tua gente, / Cuba viva sotto il sole, / la Sierra che ti ha visto vincitore. / Addio, addio, / chi mai ti scorderà. / Addio, addio, / anch'io ti ricorderò». 

È passata alla storia come "Battaglia di Valle Giulia" la serie di scontri tra poliziotti e manifestanti (tra i quali c'erano molti studenti) che avvenne il primo marzo del 1968, nella zona di Roma in prossimità del quartiere Parioli, che è appunto detta Valle Giulia; e proprio così s'intitola un brano piuttosto famoso del cantautore Paolo Pietrangeli che, proprio durante il fatidico Sessantotto, fece uscire un 45 giri comprendente la canzone citata in cui con passione sincera e con entusiasmo palpabile narrava del coraggio dimostrato dai manifestanti e dagli studenti che decisero di non indietreggiare di fronte alla polizia e che scatenarono una vera e propria guerriglia urbana; eccone un passo: «Il primo marzo, sì, me lo rammento, / saremmo stati millecinquecento / e caricava giù la polizia / ma gli studenti la cacciaron via. / - No alla scuola dei padroni! / Via il governo, dimissioni! - ». Il fatto ebbe grande risonanza e suscitò varie reazioni di personaggi anche molto noti, tra questi, famoso rimane il pensiero di Pier Paolo Pasolini che si schierò, motivando la sua decisione, dalla parte dei poliziotti.

Lucio Dalla nel 1975 pubblicò un LP intitolato Anidride solforosa, fu il secondo lavoro, dopo Il giorno aveva cinque teste (1973) nato dalla collaborazione del cantautore bolognese con il poeta Roberto Roversi; tra le canzoni presenti nel disco ce n'era una intitolata Carmen Colon: è una straziante lirica che parla di un omicidio avvenuto nel 1971 presso Churchville, qui una undicenne di nome Carmen e di cognome Colon, trovò la morte per mano di un probabile serial killer la cui identità non è stata mai accertata e che commise altri due delitti nello stesso periodo in cui morì la sventurata Carmen; tutte le vittime dell'assassino avevano le stesse iniziali (la lettera C) nel nome e nel cognome, per tal motivo il "mostro" fu denominato dai mass media "Alphabet Killer". La canzone di Lucio Dalla ha caratteristiche fortemente drammatiche e coinvolgenti, il testo di Roversi è crudo e descrive in modo chiaro la dinamica dell'omicidio: «Il primo colpo è un sasso in fronte, / nella carne non fa male / il sangue freddo e leggero. / Ahi Carmen Colon, / Carmen che chiama, / Carmen pugnale, / Carmen nell'erba...».

La strage di Piazza della Loggia, a Brescia, avvenne il 28 maggio del 1974; una bomba esplose tra la gente che stava assistendo ad una manifestazione causando otto morti e un centinaio di feriti. A distanza di 36 anni da questo vile attentato purtroppo non è stato individuato alcun colpevole, anche se pare sia chiara l'area che ideò e realizzò la strage: quella dell'estrema destra italiana. Sempre nel 1974, un gruppo musicale nato a Firenze in cui militavano sia Davide Riondino, sia sua sorella Chiara e che prediligeva interpretare le canzoni impegnate o di protesta, fece uscire un album intitolato Collettivo Victor Jara (che era proprio il nome di questo gruppo). Nel disco, la prima canzone che si ascolta è Brescia '74, che evidentemente s'ispira al tragico fatto avvenuto in quell'anno nella città lombarda; il testo di questo brano testimonia, insieme ad una strabordante indignazione e ad un clima di violenza molto presente all'epoca, un non celato nesso tra l'avvenimento tragico e il terrorismo neofascista che in quegli anni fu più che mai attivo e si rese responsabile di altri gravissimi attentati; sempre nel testo della canzone, sembra trapelare l'idea che ci fosse un coinvolgimento di responsabilità più o meno rilevanti per il fatto accaduto, anche da parte di coloro che in quel momento rappresentavano alte cariche pubbliche. Questo è un estratto del testo di Brescia '74: «Son troppi i morti questa volta / e non possiamo più aver pazienza / fascisti pagati dai padroni / presto vi faremo fuori. / Voi ed i vostri mandanti, / sì, quei falsi difensori / della democrazia / e dell'antifascismo. / Andiamo ch'è l'ora di finirla, ch'è l'ora / andiamo ch'è l'ora di finirla, ch'è l'ora...».

Nell'album Ullalla che Antonello Venditti pubblicò nel 1976, era presente una Canzone per Seveso, che voleva rappresentare un atto d'accusa nei confronti di chi non fece nulla per impedire il disastro ambientale avvenuto il 10 luglio del 1976, proprio a Seveso, nelle cui vicinanze era situata un'industria chimica: l'Icmesa; in quel disgraziato giorno, a causa di un incidente, dall'edificio industriale fuoriuscì una densa nube di diossina che si propagò ed investì un'area piuttosto larga della bassa Brianza; Seveso fu la località maggiormente colpita dalla sostanza altamente tossica, per tal motivazione una parte della popolazione che vi abitava (quella che risiedeva nelle zone più a rischio) venne evacuata ed iniziò una lenta fase di decontaminazione. Tornando alla canzone di Venditti, colpisce la seconda parte del testo, dove il cantautore romano s'immedesima nella popolazione sevesina facendogli pronunciare queste parole dense di rabbia e disperazione: «Noi che restiamo a guardare / morire le radici, / i preti perdonare. / Proprio sopra di voi / che vivete tranquilli / nella vostra coscienza di uomini giusti, / che sfruttate la vita / per i vostri sporchi giochetti. / Allora... Allora... / ammazzateci tutti!».


 

 

5 CANZONI NATE DA LONTANI FATTI DI CRONACA

 

Anch'io ti ricorderò (S. Endrigo)

Valle Giulia (P. Pietrangeli)

Carmen Colon (R. Roversi - L. Dalla)

Brescia '74 (D. Riondino - C. Riondino)

Canzone per Seveso (A. Venditti)

giovedì 10 gennaio 2019

Preghiera in gennaio


Quando ascoltai per la prima volta Preghiera in gennaio, avevo superato da poco i vent'anni, e subito me ne innamorai. Tutt'oggi la considero una delle canzoni più belle mai scritte da Fabrizio De Andrè. A quel tempo - erano gli anni '80 del XX secolo - sapevo dell'esistenza di due brani musicali dedicati a Luigi Tenco; oltre a Preghiera in gennaio, infatti, anche Francesco De Gregori aveva voluto ricordare il cantautore scomparso nel 1967, con una canzone presente nel suo album Bufalo Bill (1976), intitolata Festival. Preghiera in gennaio, uscì invece nello stesso anno in cui Tenco si tolse la vita, entrando a far parte dello splendido disco che porta il titolo Volume 1, e che comprende altre canzoni indimenticabili. Mi piacque e mi colpì immediatamente la fantasia di De Andrè, che, subito dopo la dipartita del suo amico, scrisse un testo poetico in forma di preghiera rivolto al Dio della cristianità - che ha anche le peculiarità di una supplica - affinché potesse e volesse accogliere nel suo "Bel Paradiso", quell'anima pura che rispondeva al nome di Luigi Tenco, il quale, in quanto suicida - basandosi sui freddi dogmi della chiesa cattolica - non avrebbe avuto diritto alcuno ad entrare nel Regno dei Cieli. Ma De Andrè, giustamente, volle allargare il discorso a tutti coloro che si suicidarono e che ebbero quella sola colpa nella loro tormentata esistenza sulla terra; così s'immaginò una schiera di anime buone, morte "per oltraggio", che, guidate da Luigi Tenco s'incamminano verso il Regno del Signore, sapendo di essere ben accolti da un Dio propenso al perdono; e perdonare coloro, come alcuni suicidi, che fecero violenza soltanto contro loro stessi, a causa dell'odio e dell'ignoranza da cui erano circondati ed a cui non riuscirono ad adeguarsi in alcun modo, diviene, a mio parere, una cosa opportuna se non un obbligo. Bellissima e sacrosanta, l'idea - sempre di De Andrè - del Paradiso quale luogo in cui si ritrovino tutte le anime di coloro che non furono felici, pur avendo una coscienza pura. Meravigliosa infine, l'ultima richiesta rivolta a Dio dal cantautore genovese, perché possa ascoltare le canzoni di Tenco e rimanerne estasiato. Uno degli ultimi versi di questa poesia-canzone trasmette una tristezza intensa, perché quel "che ormai canta nel vento" riferito alla voce di Tenco, fa comprendere crudamente il fatto inoppugnabile della sua scomparsa definitiva, malgrado le sue canzoni abbiano continuato e continuino tutt'ora ad essere trasmesse dai mass media e ad essere scelte ed ascoltate da un pubblico immenso che comprende diverse generazioni e che non ha mai dimenticato questo grandissimo cantante prematuramente scomparso.  




PREGHIERA IN GENNAIO
(F. De Andrè)

Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.

Quando attraverserà
l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch'io
perché non c'è l'inferno
nel mondo del buon Dio.

Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.

Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all'odio e all'ignoranza
preferirono la morte.

Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
l'hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura.
Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.
Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.

venerdì 8 maggio 2015

Cosa resterà degli anni '80

Al Festival di Sanremo del 1989 partecipa anche Raf, che propone un brano intitolato: Cosa resterà degli anni '80. Ebbene, al di là di ciò che recita il testo della canzone, si può affermare che di questo pessimo decennio non rimane un bel nulla; non parlo di eventi internazionali (politici e non), che hanno certamente anche alcuni lati positivi, parlo ovviamente di ciò che accadde nel nostro paese. Tentare di trovare qualcosa di buono avvenuto in questo periodo è pressoché inutile: tutti i ricordi che non siano stati rimossi risultano estremamente negativi.


COSA RESTERÀ DEGLI ANNI '80

Anni come giorni volati via 
brevi fotogrammi o treni in galleria 
è un effetto serra che scioglie la felicità 
delle nostre voglie e dei nostri jeans che cosa resterà. 
Di questi anni maledetti dentro gli occhi tuoi 
anni bucati e distratti noi vittime di noi 
ora però ci costa il non amarsi più 
è un dolore nascosto giù nell´anima. 
Cosa resterà di questi Anni Ottanta 
afferrati già scivolati via... 
...e la radio canta una verità dentro una bugia. 
Anni ballando, ballando Reagan-Gorbaciov 
danza la fame nel mondo un tragico rondò. 
Noi siamo sempre più soli singole metà 
anni sui libri di scuola e poi a cosa servirà. 
Anni di amori violenti litigando per le vie 
sempre pronti io e te a nuove geometrie 
anni vuoti come lattine abbandonate là 
ora che siamo alla fine di questa eternità... 
...chi la scatterà la fotografia... 
..."Won´t you break my heart?"... 
...Anni rampanti dei miti sorridenti da wind-surf 
sono già diventati graffiti ed ognuno pensa a sé 
forse domani a quest´ora non sarò esistito mai 
e i sentimenti che senti se ne andranno come spray. 
Uh! No, no, no, no... 
Anni veri di pubblicità, ma che cosa resterà 
anni allegri e depressi di follia e lucidità 
sembran già degli Anni Ottanta 
per noi queasi ottanta anni fa...

martedì 6 gennaio 2015

"La befana trullallà" di Gianni Morandi

Me la ricordo ancora, la sigla: La befana trullallà, del programma musicale andato in onda su Rai 1 tra l'autunno del 1978 e la primavera del 1979 (il titolo era 10 Hertz). Era proprio il conduttore, Gianni Morandi, che la cantava. Mi pare fosse il brano con cui terminava la trasmissione, mentre quello iniziale era Abbracciamoci. Certo non si trattò del periodo di massimo fulgore per Morandi, che comunque trovò, anche in quei suoi anni "difficili", un modo per star a galla. Non deve meravigliare il fatto che il cantante emiliano avesse scelto di dedicare la sua attenzione al pubblico infantile, era infatti già uscito, due anni prima, un 45 giri intitolato Sei forte papà, che ebbe enorme successo e che mostrava un inedito Morandi interloquire con dei bambini (i suoi figli), i quali lo incitavano a raccattare qualsiasi animaletto si imbattesse sulla loro strada. Personalmente ho un bel ricordo di quel programma, dove si esibirono i protagonisti più in voga della musica pop dell'epoca, e Morandi fece del suo meglio dimostrandosi, come al solito, simpatico e competente. Da ricordare infine che il pezzo La befana trullallà, fu inserito come lato A in un 45 giri del 1978  e, successivamente, in due Long playing del cantante di Monghidoro: Gianni Morandi II (1978) e Abbracciamoci (1979).


LA BEFANA TRULLALLÀ
(P. Dossena - S. Rendine - R. Viscarelli)

Trullallà trullallà trullallà.
La Befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte,
con la calza appesa al collo,
col carbone, col ferro e l'ottone.
Sulla scopa per volare,
lei viene dal mare,
Lei viene dal mare.
E la neve scenderà
sui deserti del Maragià,
dall'Alaska al Canadà,
e partire lei dovrà,
e cantando partirà,
da ciociara si vestirà,
con il sacco arriverà,
la bufera vincerà,
e cantando trullallà,
la Befana arriverà.
Trulallà trullallà trullallà.

Un bambino, grande come un topolino
si è infilato nel camino
per guardarla da vicino.
Quando arriva la Befana
senza denti
salta, balla, beve il vino.
Poi di nascosto s'allontana
con la notte appiccicata alla sottana.

E un vento caldo soffierà
sui deserti del Maragià,
dall'Alaska al Canadà
solo una stella brillerà
e seguirla lei dovrà
per volare verso il nord,
e la strada è lunga
ma la bufera vincerà
e cantando trullallà
la Befana se ne va.
E cantando trullallà
truallalero trullallà
trullallà trullallà trullalà.

martedì 27 agosto 2013

Il rapimento di Fabrizio de Andrè e Dori Ghezzi

Fu una notizia scioccante per molte persone quella del rapimento del cantautore Fabrizio De Andrè e della sua compagna Dori Ghezzi, annunciata il 27 agosto del 1979. I due cantanti furono sequestrati da una banda mentre erano in Sardegna. Passarono più di quattro mesi. Poi, sia De Andrè che la Ghezzi furono liberati dai sequestratori dietro un cospicuo riscatto che fu versato dal padre del cantautore: Giuseppe De Andrè. Sull'argomento Fabrizio scrisse, in collaborazione con un altro cantautore: Massimo Bubola, una canzone intitolata Hotel Supramonte, prima traccia del lato B di Fabrizio De Andrè, Lp uscito nel 1981. In realtà l'hotel del titolo non esiste, Supramonte è il nome di una catena montuosa della Sardegna in cui in passato si nascondevano i banditi e i latitanti sardi. La trovata dell'hotel è quindi ironica, poichè il cantautore ligure in quei terribili quattro mesi di sequestro risiedette proprio in quella zona. Di seguito ecco il testo della canzone Hotel Supramonte.
 

HOTEL SUPRAMONTE
(M. Bubola - F. De Andrè)

E se vai all'Hotel Supramonte e guardi il cielo
tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo
e una lettera vera di notte falsa di giorno
e poi scuse accuse e scuse senza ritorno
e ora viaggi vivi ridi o sei perduta
col tuo ordine discreto dentro il cuore
dov'è il tuo ma dov'è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore.
Grazie al cielo ho una bocca per bere e non è facile
grazie a te ho una barca da scrivere ho un treno da perdere
e un invito all'Hotel Supramonte dove ho visto la neve
sul tuo corpo così dolce di fame così dolce di sete
passera anche questa stazione senza far male
passerà questa pioggia sottile come passa il dolore
ma dov'è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore.
E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome
ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme
ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano
cosa importa se sono caduto se sono lontano
perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole
ma dov'è finito il tuo cuore, ma dov'è finito il tuo cuore.

sabato 23 febbraio 2013

La pioggia in 10 grandi canzoni


«Piove. Il cielo è completamente grigio, guardo le gocce cadere sui vetri della mia finestra e osservo un paesaggio tetro, intristito dalla giornata uggiosa. Si ode il rumore insistente delle gocce che cadono mentre dentro di me sale un forte senso di malinconia». È questa, spesso, la sensazione che si ha quando piove, ma non è sempre così; un temporale che arriva dopo giorni e giorni di sole e siccità non può che dare un senso di benessere e di sollievo; così come è sempre gradita una fresca pioggia estiva, magari trasportata da un vento che viene da nord. Anche nelle canzoni la pioggia non trasmette sempre sentimenti in negativo, si pensi al famosissimo brano I'm singin' in the rain, infatti chi non ricorda la celebre sequenza del film Cantando sotto la pioggia in cui Gene Kelly interpreta la famosa canzone ballando allegramente sotto un acquazzone. Anche Raindrops keep fallin' on my head è una canzone allegra, dove si attua una sorta di autoconvincimento al fine di non perdere la felicità soltanto per il verificarsi di un evento atmosferico poco simpatico. Anche questo brano fu inserito nella colonna sonora di un film piuttosto famoso: Butch Cassidy. Come pioveva è una vecchissima canzone che parla di un incontro galante tra un uomo e una donna che serve da spunto per rievocare nostalgicamente un amore lontano nel tempo iniziato proprio in un giorno di pioggia. In Piove di Riccardo Cocciante, si respira un'aria di catastrofe imminente: dopo che la precipitazione atmosferica si è perpetrata per ore ed ore sembra che la pioggia continui a cadere per sempre e che ben presto l'acqua invada tutto come una sorta di diluvio universale. È la pioggia che va fu cantata dai Rockes nel 1966, è uno dei loro cavalli di battaglia e bene s'inserisce nelle cosiddette "canzoni di protesta"; si tratta di una cover del brano Rimember the rain di Bob Lind, ma il testo italiano è alquanto differente rispetto all'originale, infatti per Mogol (autore delle parole) la pioggia assume un valore simbolico negativo che rappresenta "non valori" come il denaro e il potere destinati a dileguarsi con l'arrivo del sereno ovvero dell'amore universale. La pioggia è una canzone del 1969 che fu interpretata da Gigliola Cinquetti, il testo parla dell'impossibilità, da parte della pioggia che cade, di cambiare un'atteggiamento positivo verso la vita, soprattutto perchè quest'ultimo è ben saldo grazie all'amore. Rhythm of the rain è un successo internazionale degli anni sessanta interpretato dal complesso dei Cascades. Il pleut sur Nantes è una romantica e malinconica canzone di Barbara, cantautrice francese dallo stile inconfondibile. Camminando sotto la pioggia è una vecchia canzone che ripropone il tema dell'allegria "malgrado" la pioggia; infine il testo di Scende la pioggia, uno dei pezzi più conosciuti di Gianni Morandi, cover della canzone Eleonore interpretata dal complesso americano dei Turtles, descrive lo stato d'animo di un innamorato piantato dalla su ragazza che si ritrova in strada durante una giornata piovosa e non prova alcun fastidio per l'acqua che gli cade addosso perchè il dolore che gli provoca la fine dell'amore è molto più devastante.

 


LA PIOGGIA IN 10 GRANDI CANZONI

Singin' in the rain (A. Freed - N. H. Brown)
Raindrops keep fallin' on my head (B. Bacharach - H. David)
Come pioveva (A. Gill)
Piove (E. Luberti - R. Cocciante)
È la pioggia che va (B. Lind - Mogol)
La pioggia (D. Pace - M. Panzeri - G. Argenio - C. Conti)
Rhythm of the rain (J. Gummoe)
Il pleut sur Nantes (Barbara)
Camminando sotto la pioggia (P. Frustaci - Macario - Galdieri)
Scende la pioggia (F. Migliacci - Barbata - Kaylan - Nichol - Pons - Volman)

venerdì 4 gennaio 2013

Il rimpianto del passato in 10 canzoni italiane del XX secolo

Il rimpianto di un periodo felice della vita è un tema che si ripresenta spesso in letteratura; si potrebbero a tal proposito ricordare decine e decine di romanzi e poesie di ogni tempo in cui tale tema predomina. Non fa eccezione la canzone, che, a ben guardare, ha molte somiglianze col mondo letterario. Ecco allora in breve la descrizione di dieci ottime canzoni che hanno come argomento comune "il rimpianto del passato". Canzoni nazionali e internazionali quasi sempre famose e, sempre, altamente poetiche.
Il testo di Signorinella è basato sul dolce e lontano ricordo della gioventù e dell'amore sincero: è una tra le canzoni italiane più belle e più note della prima metà del XX secolo. Fu interpretata da grandi cantanti come Carlo Buti, Alberto Rabagliati e Achille Togliani.
Anche in Yesterday, celeberrima canzone dei Beatles, musicalmente eccezionale, si parla di un amore finito e di un "ieri" migliore di oggi. È forse la canzone più famosa del XX secolo, e fu pubblicata nell'album Help, del 1965.
Those were the days descrive con grande rimpianto un lontano periodo di spensieratezza ed allegria; trattasi di una rielaborazione ben fatta di una vecchia canzone russa, che nel 1968 fu ottimamente interpretata dalla giovanissima cantante gallese Mary Hopkin: fu un successo memorabile e il brano si impose in tutto il mondo, ciò anche grazie a Paul McCartney, vero scopritore della Hopkin, bravissimo anche nel rispolverare un canto dal fascino nascosto ma fino a quel momento ignorato da tutti. Da non sottovalutare la cover italiana del brano: Quelli eran giorni, cantata in maniera egregia da Gigliola Cinquetti.

Sia il testo che la musica di Avec le temps sono del cantautore francese Leo Ferrè, che la pubblicò nel 1972. Qualche anno dopo uscì anche l'ottima cover italiana del brano: Col tempo sai, cantata da Gino Paoli.
È una canzone bellissima Les passantes di Georges Brassens, il cui testo è tratto da una poesia di Antoine Pol e rammemora con immenso rammarico i possibili approcci che un uomo avrebbe potuto avere col gentil sesso e che, per vari motivi, non si realizzarono; il brano fa parte dell'Lp Fernande, uscito nel 1972. Pregievole è anche la versione italiana del pezzo: Le passanti, interpretata da Fabrizio De Andrè nella raccolta Canzoni (1974).
In Solo cari ricordi dei Pooh c'è un uomo che torna nei luoghi a lui cari dove ha vissuto un amore profondo e da lì nasce una grande nostalgia per quel tempo felice; si tratta della 2° traccia del lato A di Parsifal, storico Lp dei Pooh uscito nel 1973.
La canzone di Claudio Baglioni intitolata Carillon, parla di un'anziana signora, la quale ricordando i bei tempi andati, ha l'impressione di essere ormai null'altro che un oggetto usurato dal tempo: un "carillon che non va più". Tra i brani più teneri e accattivanti del cantautore romano, seconda traccia dell'Lp mitico: Sabato pomeriggio (1975), Carillon è oggi tra i brani meno ricordati di Baglioni.
Pierangelo Bertoli in Cent'anni di meno narra di un tempo felice e glorioso (che sembra ormai lontanissimo), in cui anche la sofferenza e la tristezza erano riscattate dalla fede in grandi ideali e da una speranza concreta e sincera di un futuro migliore. Bertoli pubblicò la canzone quale lato B di un 45 giri del 1980 (sul lato A c'era Pescatore).
Quattro amici di Gino Paoli è un nostalgico ricordo di una gioventù piena di buone intenzioni e trascorsa a discutere con gli amici sul modo di cambiare e migliorare l'esistenza delle persone. La canzone, uscita nel 1991, permise a Paoli di riscalare dopo tanti anni le vette della Hit Parade italiana e di vincere il Festivalbar di quell'anno.
Mettendo in primo piano un gran numero di elementi precisi e indelebili, Max Pezzali mette in risalto il suo rimpianto per Gli anni che non torneranno più, il tutto avviene elencando una serie di riferimenti a fatti sportivi, slogan, vicende personali e collettive che hanno caratterizzato la gioventù di un'intera generazione. Gli anni uscì nel 1995 sia come singolo degli 883, sia come traccia 11 dell'album La donna, il sogno & il grande incubo.
 


10 CANZONI SUL RIMPIANTO DEL PASSATO


Signorinella (L. Bovio - N. Valente)
Yesterday (J. Lennon - P. Mc Cartney)
Those were the days (Ruskin)
Avec le temps (L. Ferrè)
Les passantes (G. Brassens)
Solo cari ricordi (R. Facchinetti - V. Negrini)
Carillon (C. Baglioni - A. Coggio)
Cent'anni di meno (P. Bertoli)
Quattro amici (G. Paoli)
Gli anni (M. Pezzali)

martedì 1 gennaio 2013

Il suicidio nella canzone italiana del passato

Non poche sono le canzoni italiane che hanno come argomento portante il suicidio o che sono dedicate a personaggi, veri o presunti, che si sono tolti la vita. L'argomento è certamente scabroso e difficile, una volta si sarebbe detto che non poteva assolutamente rientrare nel testo di qualsiasi canzone. In questo senso, ancora una volta il vero rivoluzionario, colui cioè che ha aperto una nuova strada è stato Fabrizio De Andrè, che nel 1961 incise un 45 giri con una canzone intitolata La ballata del Michè, il cui testo parla di un uomo francese, Michè appunto, innamorato di Marì, che viene condannato a vent'anni di galera per l'omicidio di un pretendente, e, poichè incapace di rimanere lontano dalla sua amata per così tanto tempo, decide di uccidersi. Indimenticabili gli ultimi versi del testo che spiegano perfettamente la posizione della Chiesa nei confronti dei suicidi, ecco cosa succederà al corpo di Michè: «domani alle tre / nella fossa comune sarà / senza il prete e la messa / perchè d'un suicida non hanno pietà / domani Michè / nella terra bagnata sarà / e qualcuno una croce col nome e la data / su lui pianterà».È ancora il grandissimo Fabrizio De Andrè a dedicare per primo una canzone a Luigi Tenco, suicida al Festival di Sanremo del 1967. Preghiera in gennaio uscì nel 1968 all'interno di uno stupendo album; la canzone, come dice il titolo, è una preghiera rivolta a Dio affinchè possa accogliere nel "suo" paradiso l'anima del cantautore ligure; ma il discorso di De Andrè non è limitato a Tenco, il paradiso lo meritano tutti coloro che si sono suicidati a causa dell'odio e dell'ignoranza di tanti esseri umani. Commoventi questi versi in cui De Andrè chiarisce quale, se esistesse, sarebbe il vero paradiso e chi vi entrerebbe: «Dio di misericordia / il tuo bel paradiso / lo hai fatto soprattutto / per chi non ha sorriso / per quelli che han vissuto / con la coscienza pura / l'inferno esiste solo / per chi ne ha paura».Un altro cantautore genovese: Bruno Lauzi, nel 1965 cantò una canzone intitolata Il poeta che aveva il suicidio come epilogo; il brano ebbe un discreto successo di vendite e fu interpretato anche da Gino Paoli.
Nel 1969 esce un 45 giri di Herbert Pagani che nel lato B contiene un adattamento di una vecchia canzone francese di Edith Piaf: Les amants d'un jour; Pagani trasforma il titolo in Albergo ad ore e crea un testo assai coinvolgente e toccante, conquistando il pubblico ma suscitando scandalo tra coloro che ritennero troppo crudo l'argomento trattato (è la storia di due giovani innamorati che prima affittano una stanza di un albergo ad ore e poi si uccidono) e censurarono il pezzo.
Sempre nel 1969 Gipo Farassino, cantautore piemontese che ha interpretato da par suo molte canzoni popolari, canta Remo la barca, canzone che racconta la storia di un uomo che si suicida a causa dell'amore non ricambiato di una donna. Qui si trovano non poche attinenze sia con la canzone del '61 di De Andrè che con quella di Lauzi.
Il primo album di Claudio Baglioni risale al 1970, è un disco anomalo rispetto alla sua produzione successiva perchè vede la presenza di alcune canzoni tristi se non disperate, una di queste è Lacrime di marzo, in cui l'autore romano parla di una donna che, dopo pianti e sofferenze infinite causategli dal tormentato rapporto con un uomo crudele, prende l'estrema decisione di darsi la morte; lo stesso brano fu interpretato in quegli stessi anni da Mia Martini.
Nel 1972 esce un album di Roberto Vecchioni: Saldi di fine stagione, che contiene una canzone intitolata La leggenda di Olaf, questa, solo in parte s'ispira alla storia del personaggio mitologico greco: "Ippolito", figlio di Teseo. La differenza sostanziale risiede nel fatto che Olaf, nella canzone di Vecchioni, dopo essere stato cacciato dal re a cui era sempre stato devoto, perchè calunniato dalla regina, sceglie di suicidarsi impiccandosi ad un albero; Ippolito invece, allontanatosi dal padre per ragioni analoghe a quelle di Olaf, viene scaraventato contro le rocce da un'onda mostruosa mentre stava galoppando sul litorale, la gravità delle ferite riportate gli provocheranno la morte.
Sempre nel '72 esordisce nel mondo della musica leggera il cantautore Mauro Pelosi con un LP dal titolo emblematico: La stagione per morire, i 9 brani che lo compongono sono tutti densi di disperazione e pessimismo, tra questi c'è anche Suicidio il cui testo esprime un disagio esistenziale evidente, ciò è dimostrato da alcune frasi inequivocabili: «Strade lunghe senza uscita, / la mia stanza senza porta, / lasciatemi andar via, / lasciatemi andar via...».
Alcuni testi del cantautore romano Francesco De Gregori hanno a che vedere con il suicidio; Irene è una canzone che fa parte dell'album Alice non lo sa del 1973, protagonista è una ragazza, Irene appunto, che sta per gettarsi dalla finestra mentre di sotto la gente passa senza accorgersi della tragedia imminente. Ciò che colpisce nelle parole della canzone è l'estrema leggerezza e il senso di liberazione che prova la donna negli istanti che precedono il suo suicidio. Ancora De Gregori nell'album del 1976, Bufalo Bill, include una canzone intitolata Festival dedicata al cantautore Luigi Tenco. Il testo si differenzia alquanto da quello di Preghiera in gennaio in cui De Andrè aveva voluto rendere omaggio al collega suicida, infatti il tono delle parole di De Gregori è accusatorio, il cantautore punta l'indice contro il mondo della canzone, contro la stampa e contro tutti coloro che fecero troppi pettegolezzi sulla morte di Tenco; inoltre nel testo più di una volta ritorna una domanda che sembrerebbe mettere in dubbio persino il suicidio del cantautore ligure: «Chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?». L'impiccato è un brano che fa parte dell'album De Gregori del 1978 ed è un atto di accusa nei confronti delle "carcerazioni facili" cioè quelle eseguite senza avere prove evidenti sui sospettati che, se innocenti, subiscono una violenza gratuita ed ingiusta e possono reagire a questo trauma anche col suicidio, come succede nella canzone in questione.
Nel secondo, indimenticabile album nato dalla collaborazione tra il cantautore Lucio Dalla e il poeta Roberto Roversi: Anidride solforosa, c'è una canzone che s'intitola Un mazzo di fiori, la cui protagonista è una donna ridotta in miseria che, non riuscendo più a tirare avanti, decide di togliersi la vita gettandosi nel Po.
La canzone Preghiera fu cantata dai Cugini di Campagna in un 45 giri del 1976, parla di un uomo fortemente innamorato della sua compagna gravemente malata, tanto che, quando lei muore, decide anche lui di farla finita per ritrovare la sua donna in paradiso.
Per concludere voglio ricordare una canzone di Giorgio Gaber compresa nell'album Pressione bassa del 1980 che s'intitola Il dilemma e parla di una coppia in crisi; ecco alcune frasi del testo: «Il loro amore moriva / come quello di tutti / come una cosa normale e ricorrente / perchè morire e far morire / è un'antica usanza / che suole aver la gente». Il tradimento è alla base di questa crisi che i due decidono di analizzare per poi capire che il loro amore si è ormai logorato e per salvare quello che rimane della loro unione giungono ad una soluzione drastica: darsi la morte entrambi: «Il loro amore moriva / come quello di tutti / non per una cosa astratta / come la famiglia / loro scelsero la morte / per una cosa vera / come la famiglia».