Esistono alcune canzoni di Giorgio Gaber (Milano 1939 - Montemagno di Camaiore 2003) della prima metà degli anni '60 che già preannunciano il futuro cambiamento del cantautore milanese, sempre più indirizzato verso un tipo di canzonetta che non sia soltanto fine a sé stessa ma che racchiuda un significato ed un impegno sociale tale da renderla qualcosa di più concreto e importante. Da questa tendenza sempre più consistente mano mano che Gaber interpretava i suoi brani musicali nel corso del decennio citato, si concretizzerà la svolta avvenuta proprio nel 1970, quando l'autore di "La ballata del Cerutti" e di "Trani a gogò" passerà al "Teatro-canzone" che ha poco a che vedere con la sua produzione discografica precedente. Una delle canzoni che preannunciano la svolta è senz'altro "E la città non lo sa"; fu inserita in un 33 giri del 1964 intitolato "Le canzoni di Giorgio Gaber" e passò quasi totalmente inosservata. Cosa assi ingiusta e inspiegabile, visto il sicuro valore del testo e la non scadente qualità della musica. Il testo parla di una qualunque giornata cittadina cominciando dalle prime ore della mattina, quando lentamente la luce si diffonde sulle case e la gente si avvia ad affrontare le gioie e i dolori quotidiani, per finire con la tarda sera, quando le ultime luci artificiali si vanno spegnendo e i rumori dei motori si diradano sempre più fin quasi a scomparire. È, come ripete più di una volta Gaber, un giorno come un altro, che si va ad aggiungere alla serie infinita di giorni insignificanti che si vivono nelle caotiche città moderne, tra la generale indifferenza di uomini divenuti ormai automi, visto che ripetono le solite azioni quotidiane e non si accorgono minimamente dei drammi, delle forti emozioni e delle pulsioni vitali di chicchesia, totalmente immersi in una esistenza ormai completamente svuotata di significato. Vengono in mente alcuni versi di una bellissima poesia di Camillo Sbarbaro i quali ottimamente descrivono la popolazione che è facile incontrare camminando sulle strade di una città moderna:
«Fronti calve di vecchi, inconsapevoli
occhi di bimbi, facce consuete
di nati a faticare e a riprodursi,
facce volpine stupide beate,
facce ambigue di preti, pitturate
facce di meretrici, entro il cervello
mi s'imprimono dolorosamente.
E conosco l'inganno pel qual vivono,
il dolore che mise quella piega
sul loro labbro, le speranze sempre
deluse,
e l'inutilità della lor vita
amara e il lor destino ultimo, il buio».
E LA CITTA' NON LO SA
(Giorgio Gaber - Renato Angiolini)
Un giorno come un altro
illumina le case si accendono le cose
e la città non lo sa.
Un’ora come un'altra
chi vive per amore chi muore di dolore
chi vive e non lo sa.
Un giorno come un altro
la gente passa e va
e la città non lo sa.
La luce della sera
già muore sulle case si spengono le cose
e la città non lo sa.
Fra poco tutto tace
si muove un po’ di luce sul tram che se ne va
e la città non lo sa.
Un giorno come un altro
la gente passa e va
e la città non lo sa.
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